Trasformazione di società italiane in società estere: la Cassazione rinvia a Lussemburgo

Sarà la Corte di giustizia dell’Unione europea a chiarire se gli articoli 49 e 54 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea relativi al diritto di stabilimento di persone fisiche e giuridiche ostino a che uno Stato membro, “in cui è stata originariamente costituita una società (nel caso di specie, una società a responsabilità limitata costituita in Italia), applichi alla stessa le disposizioni di diritto nazionale relative al funzionamento e alla gestione della società qualora quest’ultima, trasformata in un tipo sociale disciplinato dal diritto dello Stato membro di destinazione, nel quale abbia contestualmente trasferito la sede, mantenga il centro della sua attività nello Stato di origine e l’atto di gestione in questione incida in modo determinante sull’attività della società”. E’ stata la seconda sezione civile della Corte di Cassazione, con ordinanza n. 11600, depositata l’11 aprile 2022 (11600), a chiedere l’intervento di Lussemburgo. Il liquidatore di una società aveva citato in giudizio, dinanzi al Tribunale di Roma, due società chiedendo la nullità di due atti di conferimento in ragione dell’inefficacia dell’attribuzione di poteri a un soggetto estraneo alla società. Il Tribunale di Roma aveva respinto la domanda non pronunciandosi sulla legge applicabile, mentre la Corte di appello aveva accolto l’istanza, precisando che dovesse essere applicato l’articolo 25 della legge 218/95 e, quindi, la legge italiana se in Italia si trovava l’oggetto principale della società. La Corte di Cassazione ha analizzato in dettaglio la giurisprudenza della Corte di giustizia Ue e, in particolare, la sentenza Polbud del 25 ottobre 2017 (C-106/16). Per la Suprema Corte, però, il caso al centro del ricorso oggetto dell’ordinanza interlocutoria era diverso dal caso Polbud perché il diritto italiano consente la trasformazione delle società italiane in società estere. Si pone così il problema di stabilire se l’attribuzione da parte della società amministrate dei poteri di gestione a un terzo “debba essere valutata sulla base del diritto dello Stato di stabilimento, luogo dell’attuale sede sociale, ovvero di quello dello Stato di provenienza, ove è rimasto il centro di attività della società”. Per la Cassazione, in mancanza di armonizzazione del diritto dell’Unione, la definizione del criterio di collegamento che determina il diritto applicabile a una società rientra nella competenza di ciascuno Stato membro. Nel caso di trasferimento della sola sede sociale e non dell’amministrazione centrale o del centro di attività principale non va esclusa l’applicabilità della libertà di stabilimento dell’articolo 49 e, così, malgrado l’ampia giurisprudenza di Lussemburgo, la Corte di Cassazione ha optato per un rinvio pregiudiziale alla Corte Ue per un chiarimento sulla corretta interpretazione delle norme del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea nel caso di trasferimento di sede e ricostituzione della società secondo il diritto dello Stato membro di destinazione, pure nei casi in cui il centro dell’attività è mantenuto nello Stato di partenza. 

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