Nel segno di Strasburgo la Cassazione dice no ai sequestri giudiziari di supporti informatici e telefonici dei giornalisti

Libertà di stampa e tutela delle fonti dei giornalisti garantita dalla Cassazione grazie all’applicazione della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo. Con sentenza depositata il 29 dicembre (n.48587/11, sen48587), la Suprema corte, seconda sezione penale, ha accolto il ricorso presentato da un giornalista al quale erano stati sequestrati i supporti telefonici e informatici poiché il professionista aveva pubblicato notizie coperte dal segreto istruttorio. Il reporter aveva chiesto al giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Trani la restituzione degli strumenti indispensabili alla sua attività, ma la sua istanza era stata respinta anche perché il gip considerava i beni sottoposti a sequestro probatorio come corpo di reato. Una posizione del tutto bocciata dalla Cassazione che ha disposto la cessazione del provvedimento cautelare e la restituzione degli strumenti sequestrati, anche in ragione del mancato rispetto delle pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo che, in varie occasioni, ha ribadito il diritto del giornalista a proteggere le proprie fonti, garanzia assicurata dall’articolo 10 della Convenzione europea che riconosce il diritto alla libertà di espressione. E’ evidente, di conseguenza, che il sequestro di materiale posseduto dal giornalista che conduce all’individuazione delle fonti alle quali era stato garantito l’anonimato è una violazione del diritto alla libertà di espressione anche perché pregiudica lo svolgimento futuro dell’attività del giornalista e dello stesso giornale “la cui reputazione sarebbe lesa anche agli occhi delle future fonti”. Non solo. In diverse occasioni, Strasburgo ha stabilito che il sequestro non è possibile neanche nei casi in cui ciò comporta l’individuazione degli autori di un reato, privilegiando così la libertà di stampa su tutto, anche in ragione dell’interesse della collettività a ricevere informazioni scottanti. Senza dimenticare che l’articolo 200 c.p.p. ammette atti di interferenza nell’attività del giornalista solo in via eccezionale, con la conseguenza che eventuali deroghe “devono essere intese in senso rigoroso”. L’ingerenza, precisa la Corte, può realizzarsi solo “come extrema ratio cui ricorrere per poter conseguire la prova necessaria per perseguire il reato”. Tuttavia, ci sembra opportuno ricordare che, anche in questo caso, la Corte europea è molto restrittiva nell’ammettere compressioni alla libertà di stampa, tant’è che, con sentenza del 28 giugno 2011 (ricorso n. 28439/08, non ricordata dalla Cassazione), nel disporre la condanna al Portogallo che aveva agito contro un giornalista, ha ricordato che tocca alle autorità nazionali provare in modo specifico che la pubblicazione di alcune notizie compromette in modo effettivo le indagini, stabilendo altresì che il divieto di pubblicare atti d’indagine di interesse collettivo previsto in modo generale e automatico è contrario alla Convenzione europea.

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