Rischio di malattie genetiche: è contrario alla Costituzione il divieto di procreazione assistita

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 96/2015, depositata il 5 giugno (sentenza), ha stabilito che il divieto contenuto nella legge n. 40 del 19 febbraio 2004 che impedisce il ricorso alla fecondazione assistita alle coppie che, pur non essendo sterili, corrono il rischio di trasmettere malattie genetiche ai figli, è contrario agli articoli 3 (principio di uguaglianza) e 32 (diritto alla salute) della Costituzione. A sollevare la nuova questione di costituzionalità sulla legge n. 40 «Norme in materia di procreazione medicalmente assistita» è stata una coppia che non aveva potuto fare ricorso alla diagnosi pre-impianto e alla fecondazione assistita per evitare di trasmettere ai figli una grave malattia genetica. Il Tribunale ordinario di Roma, investito dalla questione, si è rivolto alla Corte costituzionale avanzando dubbi sugli articoli 1, 1° e 2° comma e 4, comma 1 della legge che, sostanzialmente, ammettono l’accesso alla fecondazione assistita solo alle coppie sterili o infertili (consentita, poi, con decreto del Ministero della salute dell’11 aprile 2008, anche alle coppie nelle quali l’uomo è affetto da malattie virali trasmissibili per via sessuale, come i soggetti colpiti dal virus dell’HIV e dall’epatite B e C). L’indicato divieto risulterebbe in contrasto con gli articoli 3 e 32, nonché con l’articolo 117 della Costituzione in ragione di quanto disposto dagli articoli 8 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo che assicurano il diritto al rispetto della vita privata e familiare e il divieto di ogni forma di discriminazione. Come è noto, con la sentenza Costa e Pavan contro Italia (ricorso n. 54270/10) del 28 agosto 2012, la Corte di Strasburgo ha bocciato le incongruenze dell’ordinamento italiano sul tema della procreazione assistita, a causa della quale era stato impedito il ricorso alla fecondazione omologa in vitro a una coppia fertile portatrice sana di fibrosi cistica, che non si era potuta avvalere della diagnosi preimpianto. La Corte europea, che ha anche respinto la richiesta del Governo italiano di rinvio alla Grande Camera, ha giudicato contraddittoria la legge italiana che ammette il ricorso alla procreazione assistita solo per le coppie sterili o per quelle in cui l’uomo ha una malattia trasmissibile per via sessuale, trattando così diversamente persone che si trovano in una situazione analoga perché corrono il rischio di trasmettere una malattia ai propri figli. Senza dimenticare che analizzando la normativa di 32 Stati del Consiglio d’Europa, risulta che solo 3, ossia Italia, Svizzera e Austria, vietano il ricorso alla diagnosi preimpianto.

La Consulta ha sottolineato la correttezza della rimessione del Tribunale di Roma in relazione al contrasto con le norme della Convenzione europea anche in ragione dell’impossibilità di disapplicare il diritto interno per contrasto con la CEDU malgrado la sentenza Costa e Pavan, rilevando, però, l’irragionevolezza del divieto come sottolineato dalla Corte di Strasburgo. La Convenzione europea – ha ribadito la Consulta – non crea un ordinamento giuridico sovranazionale, ma costituisce un modello di diritto internazionale pattizio “idoneo a vincolare lo Stato, ma improduttivo di effetti diretti nell’ordinamento interno”. La Consulta segue tuttavia il ragionamento della Corte europea rilevando l’irragionevolezza del divieto contenuto nella legge n. 40. Questo perché – scrivono i giudici costituzionali – “con palese antinomia normativa (sottolineata anche dalla Corte di Strasburgo nella richiamata sentenza Costa e Pavan contro Italia), il nostro ordinamento consente, comunque, a tali coppie di perseguire l’obiettivo di procreare un figlio non affetto dalla specifica patologia ereditaria di cui sono portatrici, attraverso la, innegabilmente più traumatica, modalità della interruzione volontaria (anche reiterata) di gravidanze naturali – quale consentita dall’art. 6, comma 1, lettera b), della legge 22 maggio 1978, n. 194 (Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza) − quando, dalle ormai normali indagini prenatali, siano, appunto accertati processi patologici […] relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna”. I citati articoli 1 e 4 della legge n. 40 impediscono così ” (pur essendo scientificamente possibile) di far acquisire “prima” alla donna un’informazione che le permetterebbe di evitare di assumere “dopo” una decisione ben più pregiudizievole per la sua salute”. Di qui la contrarietà agli articoli 3 e 32 della Costituzione con una lesione del diritto alla salute che non ha “un positivo contrappeso, in termini di bilanciamento, in una esigenza di tutela del nascituro, il quale sarebbe comunque esposto all’aborto”.

Si vedano i post http://www.marinacastellaneta.it/blog/bocciata-a-strasburgo-la-legge-sulla-fecondazione-assistita.html e http://www.marinacastellaneta.it/blog/temi-sensibili-e-corte-europea-dei-diritti-delluomo-in-uno-studio-di-strasburgo-un-esame-della-prassi.html.

Nessun commento

Aggiungi un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *