Adozione internazionale: la Consulta interpreta l’articolo 8 della CEDU e rimuove il divieto di adozione per i single fissato nella legge italiana

A quarantadue anni dalla sua adozione, la Corte costituzionale interviene sulla legge n. 184/1983 e dichiara incostituzionale il divieto per le persone singole di adottare un minore straniero residente all’estero. Con la sentenza n. 33 depositata il 21 marzo (pronuncia_33_2025), la Consulta rimuove un divieto incomprensibile che ha precluso, in questi anni, l’esercizio del diritto al rispetto della vita privata e familiare di numerose persone. La Corte ha anche respinto la tesi dell’Avvocatura dello Stato circa l’inammissibilità del ricorso e della Presidenza del Consiglio di Ministri che, nella memoria integrativa dell’8 gennaio 2025, aveva chiesto di non accogliere il ricorso che avrebbe condotto a “una sostanziale inversione della gerarchia dei valori costituzionali, in forma della quale in buona sostanza le forme giuridiche di tutela del minore sembrano doversi modellare in funzione delle (pur lodevoli) istanze di genitorialità espresse dalle persone singole”.

La questione di costituzionalità è stata sollevata, con ordinanza n. 139 del 2024, dal Tribunale per i minorenni di Firenze investito di un ricorso di una donna, presentato nel 2019, che aveva chiesto l’emissione del decreto di idoneità ad adottare. Il giudice, prima di decidere, ha sollevato la questione di costituzionalità con riguardo agli articoli 29-bis, comma 1 e 30, comma 1 della legge 4 maggio 1983, n. 184 in relazione agli articoli 2 e 117 della Costituzione, in rapporto all’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo il quale assicura il diritto al rispetto della vita privata e familiare. 

La Corte, precisato che, in astratto, anche i single sono idonei ad assicurare al minore in stato di abbandono un ambiente stabile e armonioso, lasciando al giudice competente l’accertamento caso per caso dell’idoneità affettiva dell’aspirante genitore, ha rimosso il divieto dell’articolo 29 bis che, richiamando, ai fini dell’adozione, le condizioni di cui all’articolo 6, il quale prevede che l’adozione sia consentita ai coniugi uniti in matrimonio da almeno tre anni, bloccava ogni possibilità di accesso all’adozione internazionale da parte delle persone singole. Chiarito che il perimetro della sentenza è limitato alla persona che ha lo stato di libero, con la conseguenza che la pronuncia non riguarda le persone vincolate da un’unione civile, la Consulta ha ricostruito l’evoluzione normativa, rilevando che, però, anche la ratifica di convenzioni come quella dell’Aja del 1993 per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale, ratificata con legge n. 476/1998, non hanno condotto alla rimozione del limite presente nella normativa italiana. Inoltre, la Corte osserva che la mancanza di un intervento della Corte europea dei diritti dell’uomo “che censuri l’esclusione delle persone singole dalla possibilità di essere dichiarate idonee all’adozione internazionale, non impedisce” alla stessa Corte costituzionale di valutare la violazione dell’articolo 8 CEDU nel coordinamento con l’articolo 2 della Costituzione poiché spetta alla Corte costituzionale, in questi casi, intervenire per garantire la tutela dei diritti affermati dalla Convenzione europea, in linea con il principio di sussidiarietà richiamato nel Preambolo della Convenzione, come modificato dal Protocollo n. 15. Così, la Corte costituzionale osserva che l’esclusione delle persone singole dall’adozione colpisce il diritto alla vita privata, inteso come libertà di autodeterminazione che si declina anche nella possibilità di realizzare la propria genitorialità la quale si coniuga, con una finalità di solidarietà sociale, con la necessità di protezione dei bambini che si trovano in una condizione di adottabilità. 

Nel contesto attuale, caratterizzato da una significativa riduzione delle domande di adozione, il divieto stabilito nella legge n. 184  rischia “di riflettersi negativamente sulla stessa effettività del diritto del minore a essere accolto in un ambiente familiare stabile e armonioso” e, inoltre, l’esclusione aprioristica delle persone singole “non è un mezzo idoneo a garantire al minore un ambiente stabile e armonioso”. Così, la Corte ritiene non necessaria in una società democratica, l’esclusione dei single dall’adozione, “in quanto non conforme al principio di proporzionalità” e in quanto in grado di determinare “la lesione della vita privata e dell’autodeterminazione orientata a una genitorialità ispirata al principio di solidarietà”.

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