L’immunità dalla giurisdizione penale di un agente diplomatico non è applicabile nei casi in cui l’atto al centro dell’azione penale non sia tra quelli legati alla propria funzione e il soggetto abbia cessato dalla sua attività. È chiara, sul punto, la Corte di cassazione che, con la sentenza n. 7738/25 depositata il 26 febbraio (7738:25), ha precisato, con riguardo alle questioni dell’immunità, le condizioni di applicazione della Convenzione di Vienna del 18 aprile 1961 sulle relazioni diplomatiche (CONV_VIENNA1961), ratificata dall’Italia con legge 9 agosto 1967 n. 804 (legge n. 804).
A rivolgersi alla Cassazione è stato un cittadino yemenita accreditato con la qualifica di primo segretario presso l’Ambasciata della Repubblica dello Yemen in Italia. L’uomo era stato destinatario di una misura cautelare in carcere emessa dal Gip del Tribunale di Roma e confermata dai giudici del riesame. Tuttavia, egli sosteneva di godere dell’immunità sia al momento dell’emissione della misura cautelare sia al termine della missione. La Suprema Corte ha respinto il ricorso negando l’esenzione dalla giurisdizione penale italiana. Precisato che, nel caso di specie, era applicabile la Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche e non quella del 24 aprile 1963 sugli agenti consolari, citata dal ricorrente, e che l’articolo 31 della Convenzione del 1961 prevede l’immunità dell’agente diplomatico dalla giurisdizione penale dello Stato nel quale è accreditato, la Suprema Corte ha evidenziato che l’indicata disposizione “si riferisce soltanto all’arco temporale durante il quale l’agente si trova nel territorio dello Stato accreditatario”, come risulta dall’articolo 39 in base al quale i privilegi e le immunità di una persona che cessa dalle sue funzioni “decadono ordinariamente al momento in cui esso lascia il Paese oppure al decorso di un termine ragionevole che le sia stato concesso, ma sussistono fino a tale momento anche in caso di conflitto armato”. La Convenzione, inoltre, ribadisce che l’immunità sussiste per gli atti compiuti nell’esercizio delle proprie funzioni come membro della missione tenendo conto che detta immunità per questi atti non ammette eccezioni. Non così per gli atti iure privatorum poiché in questo caso si tratta di un’immunità processuale che opera solo fino a quando il diplomatico svolge le sue funzioni e solo finché egli si trovi sul territorio dello Stato ospitante e non quando cambia sede. In ogni caso, precisa la Cassazione, il diplomatico è tenuto a rispettare le leggi dello Stato ospitante anche considerando che l’immunità per gli atti iure privatorum ha “carattere fondamentalmente processuale”. In questo caso le condotte ascritte al diplomatico non riguardavano l’esercizio delle proprie funzioni e, quindi, è stata corretta la decisione del Gip e del tribunale del riesame che hanno escluso l’applicabilità dell’immunità dalla giurisdizione.
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