Non si può chiedere a un giornalista di controllare tutte le informazioni fornite in un’intervista. Di conseguenza, quando agisce in buona fede e riporta una notizia di interesse generale come episodi di nepotismo commessi da un politico o scandali sessuali non può subire una condanna per diffamazione. Lo ha chiarito la Corte europea dei diritti dell’uomo con la sentenza Kącki contro Polonia (ricorso n. 10947/11, CASE OF KACKI v. POLAND) depositata il 4 luglio con la quale Strasburgo ha condannato lo Stato in causa per violazione dell’articolo 10 della Convenzione che assicura la libertà di espressione. A rivolgersi ai giudici internazionali un giornalista di un quotidiano polacco che aveva ricevuto, da un’iscritta a un partito politico, una mail con la quale denunciava uno scandalo sessuale nel suo partito. Il giornalista aveva sentito la donna e pubblicato un’intervista con al centro uno scandalo sessuale che vedeva coinvolti alcuni politici. La donna sosteneva di aver lavorato per un politico che le aveva promesso un impiego in cambio di sesso. Nell’articolo erano stati indicati i nomi di tre attivisti. Un membro dell’europarlamento, pur non citato, aveva denunciato il giornalista per diffamazione. I giudici nazionali, con riguardo alle accuse legate allo scandalo sessuale, avevano dato torto al politico. Non così per i fatti di nepotismo e, di conseguenza, il reporter era stato condannato a una multa di 230 euro. Il giornalista si è così rivolto a Strasburgo che gli ha dato ragione. Nessun dubbio – osservano i giudici internazionali – che la sanzione imposta costituisce un’ingerenza nel diritto alla libertà di espressione che, in linea teorica, poteva essere giustificata dall’esigenza di proteggere la reputazione. Tuttavia, nel caso in esame i giudici nazionali non hanno tenuto conto del fatto che il giornalista ha agito in buona fede secondo le regole del giornalismo responsabile, riportando fatti di interesse per la collettività. La Corte di Strasburgo, poi, prevede parametri differenti a seconda del caso in cui si tratti di un articolo o di un’intervista perché in quest’ultimo caso il cronista riporta opinioni di altri. Nel caso di specie, poi, il giornalista aveva fatto rileggere il testo e, d’altra parte, secondo la Corte non si può chiedere al giornalista, che agisce in buona fede, “di controllare tutte le informazioni riportate in un’intervista”. La Corte poi tiene conto anche del comportamento di chi agisce contro il giornalista. In particolare, Strasburgo ha preso in considerazione la circostanza che il politico non aveva chiesto una rettifica. Per quanto riguarda la sanzione, se è vero che la multa è stata di un importo lieve, è anche vero che la condanna è stata iscritta nel casellario giudiziale, con la conseguenza che la sanzione è stata sproporzionata. La Corte ha concesso al giornalista un indennizzo di 5mila euro per i danni non patrimoniali subiti.
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