È una violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare (articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo) il no assoluto e automatico opposto dalle autorità nazionali a una persona adottata che vuole conoscere le proprie origini. Lo ha stabilito la Corte europea dei diritti dell’uomo con la sentenza depositata il 14 maggio (ricorso n. 20949, Mitrevska contro Macedonia del Nord, diritto alle origini).
La domanda era stata presentata da una donna, adottata sin da piccola, che voleva ottenere informazioni sui genitori biologici, con particolare attenzione agli aspetti sanitari. È vero – scrive Strasburgo – che si tratta di una questione sensibile e che la divulgazione di queste informazioni incide sulla vita di una pluralità di persone, inclusa la famiglia che ha proceduto all’adozione, ma gli Stati, pur nell’ampio margine di apprezzamento loro concesso su una questione delicata sotto il profilo etico, non possono fissare un divieto assoluto di accesso alle origini e bloccare, sulla base del proprio ordinamento che qualifica tali informazioni come coperte dal segreto di Stato, ogni dato all’adottato, senza prima effettuare un bilanciamento tra gli interessi in gioco. Pertanto, in base alla Convenzione, le autorità nazionali sono sempre tenute a procedere a un bilanciamento tra il diritto dell’adottato a conoscere informazioni che considera essenziali, quello della madre biologica e l’interesse generale a non divulgare informazioni.
La ricorrente, cittadina della Macedonia del Nord, era stata adottata da bambina. Da adulta aveva inviato una domanda ai servizi sociali di Skopje per ottenere informazioni sui genitori biologici anche in ragione del fatto che aveva dei disturbi di ansia e di depressione e dei problemi di linguaggio. Durante le visite mediche, non aveva potuto rispondere al medico curante circa l’esistenza di precedenti familiari e, quindi, aveva presentato un’istanza alle autorità nazionali competenti. Sia i servizi sociali sia la commissione sull’adozione avevano negato ogni accesso in quanto in base alla normativa interna sul diritto di famiglia tali informazioni erano coperte dal segreto di Stato. Anche i giudici amministrativi avevano respinto la sua richiesta, accolta, invece, dalla Corte europea che ha ritenuto violato l’articolo 8 della Convenzione da parte dello Stato in causa. Nel diritto alla vita privata – precisa la Corte – rientra anche il diritto a conoscere le proprie origini e questo impone alle autorità nazionali di decidere sulla base di un bilanciamento tra diritto dell’adottato e diritto della madre biologica che ha chiesto di non fornire notizie sulla sua identità. Inoltre, è indispensabile accertare se la madre ha inteso continuare a mantenere il segreto sulla propria identità e se sia possibile divulgare alla richiedente talune informazioni utili per ragioni mediche, che avrebbero potuto essere comunicate senza arrivare all’individuazione dell’identità della madre, mantenendo coperti altri dati. L’automaticità del rifiuto a svelare qualsiasi informazione, in contrasto con il necessario bilanciamento tra i diritti in gioco, ha condotto alla violazione della Convenzione. Di conseguenza, la Macedonia del Nord deve versare 4.500 euro per i danni non patrimoniali subiti dalla ricorrente (in linea con quanto stabilito in passato nel caso Godelli). Inoltre, appare evidente che, per non incorrere in nuove violazioni, la normativa dovrà essere cambiata.
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