L’assenza di un certificato sul cambiamento di sesso, da uomo a donna, non può ostacolare l’accesso alla pensione concessa dal sistema nazionale alle donne. E’ la Corte di giustizia dell’Unione europea a stabilirlo con la sentenza depositata il 26 giugno (causa C-451/16, MB C-451:16) con la quale Lussemburgo, alla luce della direttiva 79/7/CEE del Consiglio, del 19 dicembre 1978, relativa alla graduale attuazione del principio di parità di trattamento tra gli uomini e le donne in materia di sicurezza sociale, ha stabilito che la condizione dell’annullamento del matrimonio richiesta a un uomo che cambia sesso, per consentire l’erogazione della pensione prevista per le donne, è meno favorevole rispetto a una persona che ha conservato lo stesso sesso dalla nascita e si è sposata. La questione pregiudiziale è stata sollevata dalla Corte suprema inglese alle prese con una controversia tra MB e il Segretario di Stato competente in materia di lavoro e pensioni del Regno Unito che aveva opposto un no alla concessione di una pensione statale di fine lavoro a decorrere dall’età pensionabile legale prevista per le donne, sesso che la donna aveva acquisito a seguito di un’operazione. MB, infatti, nata uomo, si era sposata con una donna e si era poi sottoposta a un’operazione chirurgica di conversione sessuale. Tuttavia, non aveva ottenuto il certificato di riconoscimento definitivo di cambio di sesso perché avrebbe dovuto procedere all’annullamento del matrimonio. Così, all’età di sessant’anni non aveva potuto beneficiare della pensione statale non potendo accedere come donna. Di qui una serie di ricorsi giurisdizionali fino alla decisione della Corte suprema di chiedere aiuto alla Corte Ue. Per gli eurogiudici, il sistema pensionistico punta a garantire contro i rischi connessi alla vecchiaia: la pensione, quindi, è concessa in funzione dei contributi versati nel corso dell’attività lavorativa “indipendentemente dalla situazione matrimoniale”. Pertanto, la situazione di una persona che ha cambiato sesso dopo il matrimonio e quella di una persona che ha conservato il suo sesso di nascita sono comparabili e, quindi, prescindono dalla considerazione dell’annullamento del matrimonio. Di qui la conclusione che il sistema inglese, richiedendo l’annullamento del matrimonio a chi cambia sesso, pone in essere una discriminazione diretta fondata sul sesso contraria alla direttiva Ue.
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