Discriminazione verso gli islamici nell’UE ancora troppo diffusa

L’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali ha pubblicato, nella giornata europea contro l’hate speech verso i musulmani (21 settembre), la seconda indagine sulle minoranze e la discriminazione nell’Unione europea (EU-MIDIS II) con riguardo alla popolazione di religione islamica (fra-2017-eu-minorities-survey-muslims-selected-findings_en). Lo studio si fonda su specifici indicatori di integrazione e prende in esame determinati target group, differenziati per ogni Paese membro. Per l’Italia sono stati considerati i cittadini provenienti dall’Asia, dal Nord Africa e dalla regione subsahariana. La metodologia utilizzata è quella basata sulle esperienze dirette di discriminazione e di molestie vissute in particolare da immigrati islamici. L’indagine – dice il direttore dell’Agenzia Michael O’Flaherty – rivela che poco è cambiato nell’ultimo decennio e “ogni incidente riconducibile a discriminazione e reati generati dall’odio ostacola l’inclusione di queste persone e ne riduce le prospettive di trovare lavoro”. La discriminazione, poi, genera isolamento, che può essere considerato un fattore di rischio. Malgrado, poi, un islamico su tre si senta discriminato nella ricerca del lavoro, solo il 12% denuncia i casi di discriminazione. Dall’indagine si evince che il 76% di coloro che professano tale religione prova un forte attaccamento verso il Paese in cui vive; il 31% in cerca di lavoro ha subito discriminazioni negli ultimi cinque anni; il 42% dei partecipanti all’indagine è stato fermato dalla polizia e ha dichiarato che “all’origine del controllo vi era il proprio contesto migratorio o di minoranza etnica”.

Tra le soluzioni proposte, l’adozione di sanzioni efficaci per le violazioni delle leggi antidiscriminazione; un’attività di sensibilizzazione su vasta scala; più ampia partecipazione ai processi decisionali.

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