Divorzio transnazionale: la Corte Ue interviene sulla residenza abituale unica

Possono esistere ed essere considerate due residenze abituali nei casi in cui debba essere determinato il giudice competente secondo il regolamento Ue n. 2201/2003 relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di potestà dei genitori sui figli di entrambi i coniugi? E’ stata la Corte di giustizia dell’Unione europea a dare la risposta negativa con la sentenza depositata il 25 novembre 2021, nella causa C-289/20 (IB c. FA, C-289:20), con la quale gli eurogiudici si sono pronunciati sul titolo di giurisdizione della residenza abituale da applicare nei casi di divorzio transnazionale nei casi in cui colui che agisce in giudizio rivendica la possibilità di scegliere tra due residenze abituali, una professionale e una personale. A chiedere l’intervento di Lussemburgo è stata la Corte di appello di Parigi alle prese con il ricorso di un cittadino francese, sposato con una irlandese e residente abituale in Irlanda, che aveva chiesto il divorzio in Francia poiché si era spostato da tempo in quel Paese nel quale svolgeva anche un’attività professionale, mantenendo, però, la residenza in Irlanda. Il Tribunale di primo grado di Parigi si era dichiarato incompetente proprio perché, a suo avviso, la residenza familiare era in Irlanda e il richiedente non aveva abbandonato la residenza in quel Paese, malgrado alcuni spostamenti in Francia.

Per la Corte Ue, è vero che è possibile avere una doppia o una multipla residenza abituale (situazione in forte aumento in tutta Europa), ma l’articolo 3 del regolamento n. 2201/2003 (che, a partire dal 1° agosto 2022, sarà sostituito dal n. 2019/1111), che utilizza come titolo di giurisdizione principale quello della residenza abituale, prevedendo un concorso alternativo dei titoli di giurisdizione in relazione ai coniugi coinvolti nel procedimento, impone l’individuazione di un’unica residenza abituale. Precisato che si tratta di una nozione Ue e che va escluso il rinvio ai singoli ordinamenti nazionali, Lussemburgo ha stabilito che per residenza abituale deve intendersi il luogo in cui l’interessato fissa il centro permanente o abituale dei propri interessi, con la necessità, così, di effettuare una valutazione caso per caso, sulla base però di fattori di collegamento di fatto, per assicurare certezza del diritto e prevedibilità nell’individuazione del giudice competente. Pertanto, se l’interessato cambia residenza, deve essere considerata la situazione specifica per accertare l’esistenza di un effettivo cambiamento nella residenza abituale e, in particolare, la sua volontà di stabilire detta residenza, con l’intenzione di dare un carattere di stabilità al centro permanente o abituale dei suoi interessi. In ogni caso, precisa la Corte, l’assimilazione della residenza abituale del coniuge al centro permanente o abituale in cui si trovano i suoi interessi non ha, come conseguenza, che possa essere accolta la possibilità di avere una pluralità di residenze, ai fini del regolamento, tutte con la caratteristica dell’abitualità. Il coniuge potrà dividere la propria vita in due Stati, soprattutto nei casi di crisi familiari che talvolta portano a uno spostamento di residenza ma, ai fini dell’applicazione dell’articolo 3, la residenza abituale deve essere unica perché, in caso contrario, sarebbe impossibile determinare in anticipo i giudici suscettibili di pronunciarsi sullo scioglimento del vincolo matrimoniale, con conseguenze negative anche per l’applicazione di altri regolamenti che richiamano l’articolo 3 del n. 2201/2003. In ultimo, nel caso in esame, la Corte ritiene che diversi elementi possano portare a ritenere che il ricorrente abbia un grado di integrazione in Francia perché esercita in modo stabile e permanente l’attività professionale in quel Paese, perché l’uomo si era spostato in Francia da almeno sei mesi immediatamente prima della presentazione della sua domanda di scioglimento del matrimonio, come richiesto dall’articolo 3 e perché aveva mostrato una stabilità e un’integrazione nell’ambiente sociale e culturale di quello Stato, suo Paese di origine (requisito richiesto dal regolamento nei casi di residenza da almeno sei mesi). Tuttavia, la parola passa ai giudici nazionali che, esclusa la possibilità di considerare due residenze come abituali, devono verificare se, dall’insieme delle circostanze di fatto, si possa ritenere che la residenza abituale sia stata trasferita allo Stato membro del giudice adito.

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