Documentare i casi di tortura secondo i principi di Istanbul

L’accertamento dei casi di tortura, sia sul piano nazionale sia su quello internazionale, è di particolare complessità non solo per gli ostacoli che non di rado vengono frapposti nella fase relativa all’accertamento delle responsabilità, ma anche perché è complesso raccogliere le prove per assicurare che i colpevoli siano puniti. Per favorire l’utilizzo di standard comuni, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani ha adottato una nuova versione del Manuale sul Protocollo di Istanbul per un’efficace indagine e documentazione della tortura o di altro trattamento o pena crudele, inumana o degradante. La prima versione risale al 2001 ed è stata già aggiornata nel 2004. Era necessario, quindi, un restyling anche in ragione delle novità nel campo della scienza e della prassi che si è ormai consolidata, per fornire agli Stati, alle istituzioni impegnate nella tutela dei diritti umani, alla società civile le migliori modalità per accertare i casi di tortura. Il protocollo di Istanbul contiene una serie di principi che costituiscono uno standard minimo per le autorità degli Stati che aderiscono a questa iniziativa che ha coinvolto 180 partecipanti da 51 Paesi. L’obiettivo è assicurare l’effettiva attuazione della Convenzione contro la tortura e altri trattamenti o punizioni crudeli, inumani o degradanti del 1984 attraverso l’individuazione di standard minimi da seguire per l’accertamento dei fatti. Se inizialmente il protocollo era funzionale proprio all’attuazione della Convenzione, nel corso degli anni è diventato uno strumento utilizzato sempre di più in contesti nazionali. Nel manuale è ricostruita la normativa internazionale, i più rilevanti codici deontologici e i principi seguiti da giudici, procuratori e avvocati, nonché le regole seguite dai medici per l’accertamento dal punto di vista scientifico dei casi di tortura.

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