Facebook e incitamento alla jihad: giustificata l’espulsione

Per l’espulsione di chi inneggia alla jihad via web non è necessario che l’amministrazione competente dia “contezza della frequenza dei messaggi, né, tantomeno, della ricaduta degli stessi sulla sicurezza nazionale”. Lo ha chiarito il Tribunale amministrativo del Lazio (sezione prima ter), con la sentenza n. 1356/2016 del 1° febbraio, ormai definitiva (tar). A richiedere l’annullamento del provvedimento di espulsione e della revoca del permesso di soggiorno era stato il destinatario della misura il quale contestava le accuse mosse nei suoi confronti e adduceva il difetto di motivazione del provvedimento disposto dal ministero dell’interno. Il Tar ha respinto il ricorso rigettando la teoria fondata su una distinzione tra sostegno alla jihad e ad al Quaeda tanto più che lo stesso ricorrente aveva ammesso di aver inneggiato al movimento. In particolare, poi, i giudici amministrativi hanno sostenuto che nell’adottare la misura di espulsione non è necessario provare né il numero dei messaggi né la ricaduta degli stessi sulla sicurezza nazionale perché il pericolo “deve considerarsi in re ipsa“.

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