Esecuzione sentenze CEDU in Italia: oltre 77 milioni di euro alle vittime di violazioni

Una strategia che ha portato a una diminuzione delle sentenze di condanna da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo, ma a un disastro per le casse dello Stato. Nel 2015, infatti, l’Italia ha versato oltre 77 milioni di euro per gli indennizzi dovuti a violazioni della Corte europea dei diritti dell’uomo accettando la conclusione di regolamenti amichevoli o pronunciando dichiarazioni unilaterali che hanno portato a evitare pronunce di accertamento della colpevolezza da Strasburgo, ma obbligato lo Stato a versare indennizzi alle vittime. Un chiaro segno, quindi, che il rispetto della Convenzione è ben lontano dall’essere realizzato. La cifra monstre – l’importo più alto in assoluto –  è stata messa nero su bianco nella relazione annuale sull’esecuzione delle pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo nei confronti dell’Italia presentata a luglio 2016 dal Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei ministri (ufficio del contenzioso) con riferimento all’anno 2015 (relazione_2015).

Il costo degli indennizzi segna un balzo in avanti imponente rispetto al 2014, anno nel quale l’Italia aveva dovuto versare poco più di 5 milioni di euro. Un colpo enorme per le casse dello Stato che – si legge nella relazione che viene presentata ogni anno in base alla legge n. 12/2006 – “è il risultato dell’attuazione delle politiche di riduzione del contenzioso seriale poste in essere attraverso i piani d’azione”. In questo modo, da un lato il Governo è arrivato alla chiusura del contenzioso in via transattiva, ma dall’altro lato ha dovuto riconoscere il versamento di indennizzi. Va detto che sull’importo liquidato è pesata anche l’esecuzione della sentenza del 2012 (Immobiliare Podere Trieste) con la quale la Corte europea ha condannato l’Italia a versare 47 milioni di euro e della pronuncia del 2014, Società Pratolungo Immobiliare, chiusa con un regolamento amichevole in cui l’Italia si è impegnata a corrispondere 20 milioni. In ogni caso, anche al netto di queste pronunce, la cifra, rispetto all’anno passato, resta molto alta. Per le sentenze emesse nel 2015 sono state contabilizzate 12 pronunce per un totale di 1.269.493 euro e 8 decisioni pari a 2.195.910 euro. Per quanto riguarda la legge Pinto, l’Italia ha versato 131.319 euro per chiudere 14 decisioni e ottenere la cancellazione dei ricorsi dal ruolo.

Come dato positivo, invece, è da segnalare l’uscita dell’Italia dal gruppo di testa dei dieci Stati che hanno accumulato il maggior numero di condanne nel 2015, arrivando a 24 sentenze. Diminuito anche il peso dell’Italia rispetto agli affari pendenti con un meno 25% rispetto al 2014 che porta Roma al quarto posto dopo Ucraina, Federazione russa e Turchia.

Sul piano interno, non funziona l’azione di rivalsa introdotta con l’articolo 43 della legge n. 234/2012. Nel 2015 il Ministero dell’economia ha avviato un’azione contro l’Anas per recuperare i 50mila euro versati a seguito della sentenza Pecar del 2009. Sono pronti anche 17 decreti di ingiunzione di pagamento che saranno notificati agli enti interessati. Resta da vedere, però, se il sistema di rivalsa reggerà alla prova della Corte costituzionale. Il Tribunale di Bari, infatti, con ordinanza n. 74/2016 ha sollevato una questione di legittimità dell’articolo 43 anche perché la norma non permette di effettuare una gradazione di responsabilità tra Stato e enti locali (la camera di consiglio è prevista per il 21 settembre).

Per quanto riguarda le modifiche legislative seguite a sentenze di condanna all’Italia, grazie alla pronuncia Oliari, il Parlamento ha approvato la legge n. 76/2016, colmando la lacuna relativa al riconoscimento giuridico di coppie dello stesso sesso. Resta, invece, ancora ferma l’introduzione del reato di tortura. Non è bastata la condanna all’Italia nel caso Cestaro per spingere il Parlamento ad approvare una legge. Con il rischio – in realtà una certezza – di nuove condanne dalla Corte europea e di un accertamento della mancata esecuzione della pronuncia da parte del Comitato dei ministri.

Si veda il post http://www.marinacastellaneta.it/blog/esecuzione-delle-sentenze-cedu-pubblicata-la-relazione-annuale.html

1 Risposta
  • Ottavio
    dicembre 10, 2016

    VIOLAZIONE C.E.D.U. : PAGA LO STATO, MA POI SI RIVALE SULL’ENTE LOCALE

    La Consulta respinge tutte le questioni poste a sostegno della non manifesta infondatezza circa la illegittimità costituzionale del “Diritto di rivalsa” dello Stato nei confronti dell’Ente locale che viola la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (C.E.D.U.) per gli oneri finanziari sostenuti in esecuzione delle sentenze della CorteEDU.
    La Consulta con sentenza n. 219 del 21 sett. 2016, ha risolto il caso che riguarda lo Stato Italiano, il quale costretto dalla Corte EDU al pagamento – circa € 900.000,00 – quale ristoro per un privato leso, ne attivava il recupero a carico del comune di San Ferdinando di Puglia, beneficiario dell’opera pubblica realizzata sul suolo ablato.
    Detto Ente Locale ha prodotto opposizione nanti il Tribunale di Bari, il quale a sua volta ha sollevato questione di legittimità costituzionale perché la norma in oggetto – art. 16 bis, comma 5, della L. n.11 del 2005 – che prevede la rivalsa, é irragionevole e sostanzialmente ingiusta.
    Preliminarmente la C. Costituzionale ha rilevato lo sforamento dei termini previsti per l’atto costitutivo comunale e ne ha quindi sancito l’inammissibilità .
    La contrarietà poi della rivalsa statale agli articoli 3-97-114-117/1°comma- 118 e 119/4° comma della Costituzione é stata dichiarata inammissibile perché argomentata genericamente. In particolare il Giudice barese non ha illustrato le ragioni della subordinazione del comune allo Stato.
    E’ inammissibile anche la “responsabilità del comune per fatto dello Stato” in quanto, sottolinea il Giudice delle Leggi, lo Stato può si rivalersi sul comune, però solamente se quest’ultimo si sia reso responsabile di violazioni di disposizioni della C.E.D.U. (art. 16 bis , 5° comma).
    In merito alla “retroattività”, la Consulta sottolinea che l’art. 16 bis in questione é una disposizione di carattere processuale e al fine della sua applicabilità rileva l’avvenuto accertamento della violazione della C.E.D.U. , che la Corte Edu ha accertato con sentenza di condanna.
    il Giudice rimettente aveva ravvisato inoltre anche la lesione del diritto di difesa ex art. 24 della Costituzione stante l’impossibilità del comune di difendersi dinanzi alla Corte EDU.
    La Corte Costituzionale ha dichiarato, tale ultima questione, infondata poiché l’art. 24 attiene all’ordinamento interno e non al procedimento dinanzi alla Corte EDU dove la compressione del diritto di difesa si é realizzato .
    L’inerzia dello Stato in tale giudizio risulta pertanto un mero fatto.
    Ciò detto v’è da chiedersi: giungeranno a conclusione le esecuzioni pendenti, oltre quella per il caso San Ferdinando di Puglia, sul nostro territorio nazionale in materia di rivalsa per condanne della Corte EDU e sopratutto ne giungeranno di nuove (e più pesanti) ?

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