Il no all’estradizione non può basarsi solo su notizie tratte da Internet

Che valore hanno le informazioni tratte da siti web sulla condizione dei detenuti in un Paese che presenta una richiesta di estradizione all’Italia? La risposta è arrivata dalla Corte di Cassazione, sesta sezione penale che, con la sentenza n. 15297 del 22 aprile ha accolto il ricorso del Procuratore generale presso la Corte di appello di Trieste che aveva impugnato il provvedimento dei giudici di appello i quali avevano respinto l’estradizione di un cittadino bosniaco verso la Bosnia per il rischio di trattamenti disumani o degradanti (15297). Per la Cassazione, la Corte di appello di Trieste ha valorizzato “dati informativi desunti da siti internet” e ha qualificato come generiche le precisazioni fornite dal governo bosniaco che, invece, ad avviso della Suprema Corte erano sufficientemente definite poiché era stata puntualizzata la superficie della cella, l’esistenza di un’assistenza sanitaria e altri elementi che portano a ritenere che non ci siano rischi di una violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Tale norma – osserva la Cassazione – “impone allo Stato l’obbligo positivo di assicurarsi che tutte le persone ristrette siano detenute in condizioni compatibili con il rispetto della dignità umana” e che le modalità di esecuzione della pena non sottopongano il detenuto a uno stress che superi il livello inevitabile di sofferenza proprio di ogni stato di detenzione. Pertanto, qualora si raccolgano informazioni diverse da internet, tali da destare allarme, prima di respingere la richiesta, i giudici nazionali devono chiedere alle autorità governative straniere un’integrazione delle notizie ricevute. Così, la Cassazione ha annullato la pronuncia della Corte di appello che deciderà uniformandosi ai principi di diritto stabiliti con la sentenza in esame. 

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