La Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato il Regno Unito per il sistema di intercettazioni di massa disposto dalle autorità britanniche e svelato da Edward Snowden. In particolare, tra gli altri profili, Strasburgo ha stabilito che, poiché le intercettazioni sono state effettuate colpendo anche i giornalisti, il Regno Unito ha violato l’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo perché è stato intaccato il principio fondamentale idoneo ad assicurare una libertà di stampa effettiva, ossia la confidenzialità delle fonti. Con la sentenza fiume Big Brothers Watch e altri contro il Regno Unito depositata il 13 settembre (CASE OF BIG BROTHER WATCH AND OTHERS v. THE UNITED KINGDOM) Strasburgo ha sì affermato che, in via generale, le intercettazioni di massa non sono in sé contrarie alla Convenzione, in particolare in ragione delle esigenze di sicurezza nazionale. Tuttavia, gli Stati parti alla Convenzione sono tenuti a rispettare i parametri fissati nella sentenza Weber. Pertanto, sul piano interno, deve essere assicurata la supervisione di un organo indipendente competente per la selezione delle intercettazioni e per il processo di ricerca. In caso contrario si configura una violazione dell’articolo 8 che assicura il diritto al rispetto della vita privata e familiare. Sotto il profilo del diritto alla libertà di espressione, la Corte, ribadita la necessità di tutelare i giornalisti nell’esercizio dell’attività d’informazione, ha stabilito che le autorità nazionali non hanno adottato alcuna misura per tutelare il diritto alla confidenzialità delle fonti dei giornalisti che è essenziale non solo per permettere l’esercizio della libertà di stampa, ma anche per attuare in modo concreto il diritto della collettività a ricevere informazioni di interesse generale. Sul punto vale la pena ricordare che gli Stati non hanno solo obblighi negativi di non ingerenza, ma anche un obbligo positivo di adottare misure che permettano l’esercizio effettivo della libertà di espressione. La Corte, in particolare, ha evidenziato che anche se le intercettazioni non erano rivolte direttamente a “scoprire” le fonti dei giornalisti, sussisteva un rischio potenziale sul mantenimento della confidenzialità delle fonti. E’ evidente, così, il rischio di un chilling effect sull’attività dei giornalisti e la violazione dell’articolo 10 della Convenzione.
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