La Corte di Cassazione sulla delibazione di una sentenza ecclesiastica e limite dell’ordine pubblico

Non basta la convivenza triennale dei coniugi per impedire la delibazione della sentenza canonica di nullità del matrimonio. Il limite dell’ordine pubblico, infatti, impone una verifica della situazione concreta che deve essere provata con fatti e specifici comportamenti dei coniugi, a pena di decadenza, nella comparsa di costituzione. E’ la Corte di Cassazione, I sezione civile, a stabilirlo con la sentenza n. 8028 depositata il 22 aprile (8028 – delibazione). Al centro della vicenda, una richiesta di efficacia nell’ordinamento italiano di una sentenza emessa dal Tribunale ecclesiastico regionale del Lazio, dichiarata esecutiva dal Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, con cui era stata affermata la nullità del matrimonio concluso con rito concordatario “per grave difetto di discrezione di giudizio da parte dell’uomo circa i diritti ed i doveri matrimoniali essenziali”. La ex moglie si era opposta alla delibazione della sentenza ecclesiastica in quanto contraria all’ordine pubblico in ragione della durata prolungata della convivenza. La Corte di appello di Roma aveva negato la delibazione e, così, l’ex marito si è rivolto alla Cassazione che ha accolto, in parte, il ricorso. In particolare, la Suprema Corte ha ribadito che il no alla delibazione per motivi di ordine pubblico richiede un esame della complessità fattuale legata all’esercizio di diritti, all’adempimento di doveri e all’assunzione di responsabilità di natura personalissima, con una verifica preliminare circa il rispetto dei termini e delle condizioni della presentazione dell’eccezione che – conclude la Corte – “è stata irritualmente proposta in quanto sollevata nella comparsa di risposta depositata tardivamente”. Inoltre, se la domanda è proposta da uno solo dei coniugi, non si applica il procedimento camerale, ma quello del giudizio ordinario di cognizione. Questo perché l’articolo 796 del codice di procedura civile è richiamato dall’articolo 4, lett. b) del Protocollo addizionale al Concordato come modificato nel 1984. E’ vero – osserva la Cassazione – che l’articolo 73 della legge n. 218/95 ha previsto l’abrogazione della norma ma “le norme pattizie possono essere modificate, in mancanza di accordo tra le Parti contraenti, soltanto con norme costituzionali, e resistono, quindi alle modificazioni normative introdotte con legge formale ordinaria”. Così, la sentenza impugnata è stata annullata con rinvio alla Corte di appello di Roma, chiamata a decidere in diversa composizione.

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