Vizio del consenso e delibazione di una sentenza ecclesiastica: precisazioni dalla Cassazione

È contraria all’ordine pubblico la sentenza emessa dal Tribunale ecclesiastico in cui si dispone la nullità del matrimonio concordatario per esclusione di uno dei bona matrimonii da parte di uno degli sposi, se si tratta di un atteggiamento psichico “non portato a conoscenza dell’altro coniuge”. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, prima sezione civile, con l’ordinanza n. 2247/2024 depositata il 23 gennaio (2247) con la quale è stato respinto il ricorso di un uomo che aveva chiesto la delibazione della sentenza di nullità del matrimonio concordatario, durato 10 mesi, con la quale il Tribunale ecclesiastico regionale etrusco aveva dichiarato la nullità del vincolo perché il marito aveva avuto una riserva mentale all’atto di celebrazione del matrimonio. La Corte di appello di Ancona aveva detto no all’efficacia in Italia della pronuncia in quanto contrastante con i principi dell’ordine pubblico italiano perché dagli atti del giudizio ecclesiastico “non era emersa la prova che il difetto di consenso unilaterale – vale a dire la riserva mentale – del marito fosse stato manifestato alla moglie” o fosse stato conosciuto da quest’ultima o ignorato per negligenza della donna.

Di qui il ricorso in Cassazione che, però, ha confermato l’operato della Corte di appello e condiviso la posizione circa l’operatività del limite dell’ordine pubblico proprio perché la riserva mentale non era conosciuta dalla donna e, quindi, la delibazione della pronuncia sarebbe stata contraria all’ordine pubblico. La Cassazione, che ha respinto la tesi dell’uomo circa la necessità di un’interpretazione restrittiva della nozione di ordine pubblico nel caso di delibazione di sentenze ecclesiastiche, confermando orientamenti già affermati in passato, ha osservato che solo le sentenze ecclesiastiche che si fondano su vizi del consenso con caratteri oggettivi “almeno analoghi a quelli previsti dal nostro ordinamento” sono conformi all’ordine pubblico. Nel caso in esame il vizio genetico del consenso che era alla base della sentenza ecclesiastica non aveva caratteri oggettivi analoghi a quelli previsti dall’ordinamento italiano proprio per l’assenza di conoscenza e conoscibilità da parte dell’altro coniuge. Respinto così il ricorso e confermato il no alla delibazione della sentenza.

Nessun commento

Aggiungi un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *