Migranti: l’Italia condannata per trattamenti disumani e per le espulsioni collettive

Da Lussemburgo a Strasburgo l’Italia non supera l’esame degli organi giurisdizionali internazionali ed europei in materia di immigrazione. Il 1° settembre è stata la volta della Corte europea dei diritti dell’uomo che, con la sentenza Khlaifia e altri (AFFAIRE KHLAIFIA ET AUTRES c. ITALIE), ha condannato l’Italia per aver violato, tra gli altri, l’articolo 3 della Convenzione europea che vieta i trattamenti disumani e degradanti, il 5 che tutela la libertà personale, l’articolo 4 del Protocollo n. 4 che mette al bando le espulsioni collettive, nonché l’articolo 13 che assicura il diritto alla tutela giurisdizionale effettiva. Un quadro drammatico quello descritto nella sentenza: dal sovraffollamento nel centro di accoglienza alle espulsioni collettive passando per le detenzioni arbitrarie. A rivolgersi alla Corte alcuni cittadini tunisini che, sbarcati a Lampedusa nel settembre 2011, con uno dei tanti barconi della speranza, erano stati trasferiti nel Centro di soccorso e di prima accoglienza di Contrada Imbriacola. Qui una situazione non degna di un Paese civile per le scarse condizioni igieniche e per il sovraffollamento. Non solo. Ai migranti era stato imposto il divieto di ogni contatto con l’esterno. Un insieme di fattori che aveva dato il via a una rivolta. I ricorrenti erano stati trasferiti a bordo di due navi nel porto di Palermo e dopo 4 giorni rimpatriati in Tunisia. Per quanto riguarda la violazione dell’articolo 5 della Convenzione, la Corte ha accertato che l’impossibilità di comunicare con l’esterno e la sorveglianza continua delle forze di polizia nel centro di accoglienza ha fatto sì che, tenendo conto degli effetti, della durata e delle modalità di esecuzione, vi sia stata una privazione della libertà personale e non una restrizione alla liberà di circolazione. La Corte ricorda che l’articolo 5 ammette alcune restrizioni alla libertà personale, ma solo nelle ipotesi elencate nella norma e solo se lo prevede una legge interna. Nel caso in esame, invece, è mancata una base giuridica sufficiente a giustificare la restrizione alla libertà, con la conseguenza che i ricorrenti hanno subito una detenzione arbitraria. E’ vero – osserva Strasburgo – che gli Stati parti alla Convenzione possono stabilire limiti alla libertà degli stranieri nel quadro dei piani di controllo dell’immigrazione, ma ogni privazione deve avere una base giuridica sufficiente. Che è mancata in questo caso, con la conseguenza che è stato leso il principio generale di sicurezza giuridica e che il provvedimento è stato arbitrario. Ed invero, la Corte ha respinto la tesi del Governo che ha invocato l’accordo con la Tunisia come base giuridica. Per Strasburgo, infatti, quello invocato dal Governo era un accordo segreto, non reso pubblico e, quindi, inaccessibile  agli interessati ai quali, tra l’altro, non sono stati comunicati i motivi giuridici e di fatto alla base della restrizione, bloccando la possibilità di contestarne la legalità.

Ma non basta. Per la Corte europea, infatti, l’Italia ha anche violato l’articolo 3 della Convenzione che vieta i trattamenti disumani e degradanti. I giudici internazionali prendono atto che l’Italia era stata interessata da un numero elevato di sbarchi per le migrazioni dovute alle “primavere arabe” ma, anche in presenza di una situazione eccezionale, lo Stato non può mai giustificare comportamenti disumani e degradanti che costituiscono una violazione dell’articolo 3. Strasburgo non sottovaluta i problemi dovuti alla gestione di situazioni migratorie eccezionali, inclusi quelli di ordine pubblico, ma lo Stato deve assicurare, in ogni caso, senza deroghe, la tutela della dignità umana. Esclusa, invece, la violazione dell’articolo 3 per la permanenza sulle due navi.

La condanna arriva, invece, per le espulsioni collettive perché le autorità italiane non hanno valutato la situazione dei singoli: i provvedimenti di rimpatrio sono stati redatti in termini identici e senza alcun riferimento alla situazione personale. La sola procedura di identificazione, infatti, – precisa la Corte – “non è sufficiente a escludere l’esistenza di un’espulsione collettiva”. L’Italia dovrà versare a ciascun ricorrente un indennizzo pari a 10mila euro.

Si vedano i post http://www.marinacastellaneta.it/blog/sullimmigrazione-patto-segreto-italia-libia.htmlhttp://www.marinacastellaneta.it/respingimenti-di-massa-verso-la-libia-condanna-allitalia-da-strasburgo.html.

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