Detenzione e violazione dell’articolo 3 CEDU: richiesta di riduzione della pena anche senza la data completa del ricorso a Strasburgo

Il reclamo per ottenere la riduzione della pena a causa di trattamenti disumani e degradanti non va considerato inammissibile anche se il detenuto non ha indicato la data completa di presentazione del ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Lo ha chiarito, con la sentenza n. 35840 depositata il 2 settembre, la Corte di cassazione, prima sezione penale (35840_09_15). A rivolgersi alla Suprema Corte un detenuto che aveva presentato un reclamo chiedendo una riduzione della pena ancora da espiare in base alla legge 11 agosto n. 117 che ha convertito, con modificazioni, il decreto-legge 26 giugno 2014, n. 92, “recante disposizioni urgenti in materia di rimedi risarcitori in favore dei detenuti e degli internati che hanno subito un trattamento in violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, nonché di modifiche al codice di procedura penale e alle disposizioni di attuazione, all’ordinamento del Corpo di polizia penitenziaria e all’ordinamento penitenziario, anche minorile”. In base all’art. 35 ter dell’ordinamento penitenziario, come modificato dal dl n. 92, la domanda può essere presentata dai detenuti che abbiano già depositato il ricorso alla Corte europea adducendo una violazione dell’articolo 3 che vieta i trattamenti disumani e degradanti, indicando la data di presentazione del ricorso a Strasburgo. La Corte di Cassazione, tuttavia, ha chiarito che l’indicazione incompleta non impedisce di verificare l’esistenza di una decisione della Corte europea o di eccepire il previo esaurimento dei ricorsi interni perché nel reclamo era stato indicato l’anno ed il nome del ricorrente con la conseguenza che era facilmente verificabile la situazione dinanzi a Strasburgo. Di qui l’annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato.