Tortura e obbligo di non refoulement: pubblicato il General Comment n. 4 alla Convenzione del 1984

Il Comitato Onu contro la tortura ha pubblicato, il 9 febbraio, il General Comment n. 4 sull’attuazione dell’articolo 3 della Convenzione contro la tortura e altri trattamenti o punizioni crudeli, inumani o degradanti del 1984 nel contesto dell’articolo 22 (CAT-C-GC-4_EN). In particolare, le nuove Osservazioni generali, che sostituiscono il General Comment n. 1 del 1997, puntano a tracciare delle linee guida tenendo conto dell’obbligo di “non refoulement” e della sua applicazione in contesti come quelli attuali in cui aumentano i flussi migratori con un connesso incremento delle richieste di asilo e un aumento dei rischi per i richiedenti. Prima di tutto, il Comitato ha precisato la nozione di deportazione ai sensi di quanto stabilito dall’articolo 3 il quale dispone che nessuno Stato possa espellere o respingere una persona di un altro Stato in cui vi siano gravi motivi di credere che essa rischierebbe di essere sottoposto a tortura, precisando altresì gli obblighi delle autorità nazionali per determinare la sussistenza di motivi di rischio. Il Comitato, anche alla luce della prassi relativa alle comunicazioni individuali, ha sottolineato che il divieto di refoulement ha carattere assoluto al pari del divieto di tortura. Pertanto, gli Stati hanno l’obbligo di procedere a esami individuali e di assicurare ai richiedenti le garanzie proprie di un procedimento equo, prevedendo il diritto di appello avverso le decisioni negative. Freno, inoltre, alla pratica che dà per buone le assicurazioni dello Stato di provenienza perché queste non possono intaccare l’obbligo di rispettare il principio di non refoulement collegato all’obbligo di esami individuali. Essenziale, poi, che le autorità nazionali competenti a decidere sulle richieste di asilo considerino che i richiedenti possano essere vittime di stress post traumatico (PTSD) e, quindi, restie a divulgare particolari sulla propria situazione e sulle torture subite: è necessario, quindi, che l’esame dei singoli casi venga svolto senza parametri di credibilità precostituiti. Bocciati, poi, i cosiddetti “internal flight alternative” ossia la deportazione di una persona vittima di tortura in un’area dello Stato che, a differenza di altre, non dovrebbe far correre il rischio di persecuzioni. Questa, scrive il Comitato, è una pratica non affidabile e non in grado di garantire gli obblighi fissati dalla Convenzione. Il Comitato ha individuato alcune misure preventive per assicurare il pieno rispetto dell’obbligo di non respingimento e ha analizzato anche gli aspetti legati all’estradizione.

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