No al ritorno del minore se è a rischio il suo benessere

Nei casi di sottrazione internazionale del minore, l’applicazione del principio del ritorno immediato del bambino arretra di fronte all’interesse del minore. Se c’è il rischio che il minore possa subire un pregiudizio nel caso di  rientro nel suo luogo di residenza abituale, i giudici nazionali non devono imporre l’esecuzione di un provvedimento che ne dispone il ritorno. La vicenda sulla quale si è pronunciata la Corte europea dei diritti dell’uomo nella sentenza della Grande Camera depositata il 6 luglio 2010 (Neulinger e Shuruk contro Svizzera, ricorso n. 41615/07, http://cmiskp.echr.coe.int/tkp197/portal.asp?sessionId=56509933&skin=hudoc-fr&action=request), che ha ribaltato la pronuncia dell’8 gennaio 2009, ha preso il via da una vicenda riguardante una coppia residente in Israele, con il proprio figlio. Il padre aveva imposto al bambino un’educazione in una scuola ultraortodossa e la madre, dopo il divorzio, aveva lasciato clandestinamente Israele rientrando in Svizzera. Un tribunale israeliano aveva accertato la violazione della Convenzione dell’Aja del 25 ottobre 1980. Il tribunale di Losanna aveva poi ordinato il ritorno del minore in Israele. Di qui il ricorso della donna alla Corte europea che ha dato ragione alla madre e ha constatato che, nel caso in cui fosse eseguito il provvedimento di ritorno, si configurerebbe una violazione dell’articolo 8 della Convenzione dei diritti dell’uomo relativo al rispetto del diritto alla vita privata e familiare.

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