Se nei casi di diffamazione i giudici nazionali non si attengono ai parametri di Strasburgo certa la violazione della Convenzione

Gli standard applicati dai giudici nazionali nei casi di azioni civili per diffamazione, non conformi a quelli individuati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo e ormai consolidati, portano in modo sicuro a una condanna dello Stato per violazione della libertà di stampa. Questa volta sotto la scure di Strasburgo è finita la Russia condannata, con sentenza del 13 dicembre 2016 (ricorso n. 9406/05, CASE OF KUNITSYNA v-2. RUSSIA), per violazione dell’articolo 10 della Convenzione europea che assicura il diritto alla libertà di espressione. A rivolgersi alla Corte europea una giornalista freelance russa condannata a versare 258 euro (poi ridotti a 158) nel corso di un procedimento civile per diffamazione. A citare in giudizio la giornalista erano stati alcuni familiari, incluso un ex deputato della Duma, che si erano ritenuti diffamati dall’articolo della giornalista sulle condizioni di vita in una casa di riposo in cui soggiornava la madre del politico. Nell’articolo si denunciavano le difficoltà della casa di riposo, il poco personale presente e la circostanza che alcuni residenti erano di fatto abbandonati dai familiari. Un medico aveva parlato apertamente di mancanza di compassione dei familiari che avevano collocato i parenti nella casa di riposo. Citata in giudizio in sede civile, la giornalista era stata ritenuta responsabile di diffamazione. Di qui l’azione a Strasburgo che ha dato ragione alla reporter. La Corte europea parte compiendo un test sulla necessità dell’ingerenza per verificare se era giustificata da un bisogno sociale imperativo, se le giustificazioni che hanno portato alla restrizione della libertà di stampa erano rilevanti e sufficienti e se dette limitazioni erano proporzionate al fine legittimo. E’ evidente la violazione della Convenzione – osserva la Corte – perché il sistema russo non distingue tra giudizio di fatto e di valore. Non solo. I giudici nazionali non hanno agito in modo conforme alla Convenzione perché non hanno valutato la buona fede del giornalista, non hanno considerato l’obiettivo perseguito e non hanno tenuto conto dell’interesse generale del contenuto dell’articolo. Strasburgo giunge così alla conclusione che i giudici nazionali russi, non prendendo in considerazione e non applicando i parametri stabiliti dalla Corte europea, hanno commesso una violazione dell’articolo 10. Lo Stato è stato tenuto a risarcire la cronista per il danno materiale quantificato in 330 euro più 1.000 euro per le spese processuali.

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