Il no al rientro di un minore sottratto illecitamente può essere deciso solo nei casi in cui vi sia un rischio fondato per il bambino nel caso di rientro, in linea con quanto disposto dall’13, lett. b) della Convenzione dell’Aja sulla sottrazione internazionale dei minori del 25 ottobre 1980 (ratificata dall’Italia con legge 15 gennaio 1994 n. 64) in base al quale il ritorno va escluso solo se “sussiste un fondato rischio, per il minore, di essere esposto, per il fatto del suo ritorno, a pericoli fisici e psichici, o comunque di trovarsi in una situazione intollerabile”. Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, prima sezione civile, con la sentenza n. 22022 depositata il 24 luglio (22022). Questi i fatti. Il Tribunale per i minorenni Firenze aveva respinto la richiesta di rientro di un minore, presentata dall’Autorità centrale britannica su richiesta del padre, ritenendo che il bambino non avesse una residenza abituale prima del trasferimento con la madre in Italia in quanto era stato oggetto di continui spostamenti. L’uomo aveva impugnato il provvedimento. La Corte di Cassazione aveva accolto il ricorso con ordinanza n. 13214/2021 nella quale la Suprema Corte aveva evidenziato che la custodia legale era di entrambi i genitori, il minore era nato in Inghilterra ed era vissuto lì. Su accordo delle parti, il minore era stato per qualche mese in Italia, ma la Cassazione ha precisato che la residenza abituale era in Inghilterra. Il procedimento era stato così riassunto dinanzi al Tribunale per i minorenni di Firenze e il giudice minorile aveva ordinato il rientro del minore nel Regno Unito, dove si trovava prima del trasferimento in Italia. La madre aveva impugnato il nuovo provvedimento con la conseguenza che la Corte di Cassazione si è pronunciata nuovamente respingendo, con la sentenza n. 22022/2023, il ricorso. La Cassazione ha considerato corretto il provvedimento nella parte in cui ha accertato la residenza abituale del minore nel Regno Unito perché l’indicato accertamento è stato svolto “privilegiando una prognosi prospettica per il compiuto soddisfacimento degli interessi del minore, anziché sulla base di un’interpretazione statica dei dati esistenti al momento del giudizio”. Il Tribunale per i minorenni, inoltre, aveva agito in modo conforme alla Convenzione dell’Aja perché aveva accertato la residenza abituale e chiarito la natura illecita del trasferimento. Inoltre, i giudici avevano svolto un accurato esame per escludere ogni situazione di rischio per il minore. La donna aveva contestato anche la mancata considerazione del principio dell’interesse superiore del minore che sarebbe stato compromesso a causa del rientro in Inghilterra, dopo una lunga permanenza in Italia. La Cassazione ha respinto anche questo motivo chiarendo che il giudizio sulla domanda di rimpatrio “non tende a individuare la migliore sistemazione possibile del minore, potendo la stessa essere respinta, nel superiore interesse del minore, solo in presenza di una delle circostanze ostative indicate dagli artt. 12, 13 e 20 della Convenzione” e, quindi, solo in presenza di rischi e pericoli fisici e psichici per il minore. Sul punto, la Suprema Corte ha richiamato la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo secondo la quale il rimpatrio del minore non può essere disposto automaticamente o meccanicamente, dovendo il giudice nazionale effettuare una valutazione specifica sulla situazione del minore e del suo ambiente. Questo accertamento era stato compiuto dal Tribunale per i minorenni che si è uniformato – osserva la Cassazione – “ai canoni interpretativi di cui all’art. 13 della Convenzione dell’Aja”, letti alla luce dell’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Respinto così il ricorso.
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