Procreazione assistita eterologa: la Corte costituzionale restituisce gli atti ai giudici di merito

Spetta ai giudici di merito interpretare il diritto interno in modo conforme alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo tenendo conto della giurisprudenza di Strasburgo: solo laddove i giudici di merito non possono raggiungere un risultato conforme al quadro convenzionale essi devono rimettere la questione alla Consulta. Di conseguenza, se sopravviene una pronuncia della CEDU su una questione già rimessa alla Corte costituzionale i giudici rimettenti devono procedere a riesaminare i termini della questione secondo la nuova pronuncia della Corte europea e, solo se non riescono ad arrivare a un’interpretazione in linea con la Convenzione come interpretata da Strasburgo, passare la questione alla Consulta. E’ la conclusione raggiunta dalla Corte costituzionale nell’ordinanza n. 150/2012 del 7 giugno (ORDINANZA N) sulle questioni di legittimità costituzionale sollevate dai Tribunali di Firenze, Catania e Milano relativamente al divieto di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo fissato dalla legge n. 40/2004. Tra i diversi profili di contrarietà alla Carta costituzionale i giudici rimettenti avevano evidenziato una possibile incostituzionalità dell’articolo 4 della legge che vieta la fecondazione eterologa con riguardo all’articolo 117 della Costituzione in ragione di quanto previsto dall’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo che assicura il diritto al rispetto della vita privata e familiare e dell’articolo 14 che vieta ogni forma di discriminazione. Ad avviso dei giudici di merito, poiché la Corte europea, con la pronuncia del 1° aprile 2010 (S.H. e altri contro Austria), ha stabilito che l’impossibilità totale di ricorrere alla fecondazione eterologa fissato in una legge interna che ammette altre forme di procreazione assistita infrange il diritto alla vita familiare e il divieto di discriminazione si pone un problema di costituzionalità della legge italiana. Per i tribunali rimettenti poiché, anche dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, il giudice comune non può disapplicare la norma interna ritenuta contraria alla Convenzione e poiché nel caso specifico non era possibile risolvere il contrasto tra legge n. 40/2004 e Convenzione attraverso l’interpretazione convenzionalmente conforme, toccava alla Consulta risolvere la questione. Centrale, come indizio di incostituzionalità dell’articolo 4, n. 3 della legge n. 40, la conclusione raggiunta dalla Corte europea nella citata sentenza del 2010. Da quella pronuncia si può desumere – osservano i rimettenti – una non conformità del divieto assoluto delle tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo con la Convenzione e, quindi, la contrarietà dell’indicato articolo della legge n. 40 con l’articolo 117 della Costituzione. Tuttavia, mentre la questione era pendente dinanzi alla Consulta è intervenuta, il 3 novembre 2011 (S.H. e altri contro Austria), la sentenza della Grande Camera che ha invece riconosciuto un ampio margine di apprezzamento agli Stati e salvato la legge austriaca che poneva limiti alla fecondazione eterologa. Un elemento centrale che va ad integrare il parametro costituzionale e a delineare un quadro diverso rispetto a quello esistente al tempo della rimessione, costituendo “un novum che influisce direttamente sulla questione di legittimità costituzionale così come proposta”.

Ora, poiché il giudice nazionale deve considerare la giurisprudenza di Strasburgo “con un margine di apprezzamento e di adeguamento che consenta di tenere conto delle peculiarità dell’ordinamento giuridico in cui la norma convenzionale è destinata ad inserirsi”, spetta ai giudici di merito analizzare se sussista ancora un dubbio di costituzionalità “alla luce della nuova esegesi fornita dalla Corte di Strasburgo ed entro quali termini permanga il denunciato contrasto”. A ciò si aggiunga che compete ai giudici di merito una valutazione dell’incidenza della pronuncia di Strasburgo per non alterare lo schema di incidentalità del giudizio di costituzionalità”.

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