La Serbia non è responsabile per le violazioni della CEDU in Kosovo

La Serbia, dal 1999, non ha il controllo effettivo del Kosovo. Di conseguenza, non può essere ritenuta responsabile delle violazioni della Convenzione europea dei diritti dell’uomo verificatesi in quel territorio. La Corte di Strasburgo, con decisione depositata il 5 novembre, ha ritenuto che alla Serbia non potesse essere addossata alcuna responsabilità per la mancata esecuzione di una sentenza che riconosceva il diritto di un lavoratore al risarcimento dei danni a seguito di un licenziamento (AZEMI v. SERBIA). Il ricorso alla Corte europea era stato presentato da un cittadino del Kosovo che era stato licenziato. Nel 2002, un tribunale locale aveva stabilito che il licenziamento era stato illegittimo, ma la sentenza non era stata eseguita. Di qui il ricorso contro la Serbia per violazione dell’articolo 6 che assicura la durata ragionevole processo.

Per la Corte, malgrado si debba presumere che uno Stato eserciti la sovranità su tutto il suo territorio, possono sussistere circostanze eccezionali idonee a dimostrare il contrario. Nel caso di specie, la Corte europea, dopo aver verificato l’assenza di un effettivo potere di controllo da parte della Serbia sul Kosovo, giunge alla conclusione che le autorità serbe non avevano la giurisdizione su quella parte del territorio. Fatti obiettivi, infatti, mostrano questa situazione: con la risoluzione del Consiglio di sicurezza n. 1244 del 10 giugno 1999, l’UNMIK ha assunto tutti i poteri esecutivi, legislativi e giudiziari in Kosovo. Senza dimenticare la dichiarazione d’indipendenza nel 2008. La Serbia, quindi, dal 1999, non ha alcun potere e controllo sul Kosovo, con la conseguenza che la Corte non può addossare allo Stato in causa alcuna violazione della Convenzione. E’ vero che dal 2004 la Serbia è divenuta parte della Convenzione europea, ma risponde per violazione di obblighi solo se avvenuti sul territorio sul quale ha la giurisdizione e un effettivo controllo, in linea con l’articolo 1 della Convenzione in base al quale gli Stati “riconoscono ad ogni persona soggetta alla loro giurisdizione i diritti e le libertà definiti al titolo primo della presente Convenzione”.

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