Bruxelles fa il punto sull’attuazione dei meccanismi di ricorso collettivo

Tra le nuove frontiere del diritto, in primo piano, ci sono le sfide legate alla gestione di situazioni di danno collettivo transfrontaliero, come dimostra il caso Volkswagen. L’Unione europea, già da tempo, ha costruito un quadro giuridico per dare spazio ai ricorsi collettivi al fine di assicurare l’applicazione effettiva dei diritti stabiliti dall’ordinamento Ue. In questa direzione, la Commissione ha adottato la raccomandazione dell’11 giugno 2013, relativa a principi comuni per i meccanismi di ricorso collettivo di natura inibitoria e risarcitoria negli Stati membri che riguardano violazioni di diritti conferiti dalle norme dell’Unione (2013/396/UE). Per fare il punto sull’attuazione della raccomandazione, Bruxelles ha presentato una relazione, il 25 gennaio 2018, sulle modalità con le quali gli Stati membri hanno proceduto a mettere sul campo i principi fissati dall’Unione europea (COM(2018)40, COM-2018-40). La raccomandazione è ormai un parametro di riferimento in molti Stati, tenuti a dotarsi di sistemi di ricorso collettivo a livello nazionale con principi analoghi in tutta l’Unione “tenendo conto delle tradizioni giuridiche degli Stati membri e adottando garanzie contro potenziali abusi” per raggiungere un equilibrio tra l’obiettivo di “garantire un accesso sufficiente alla giustizia e l’esigenza di impedire abusi attraverso opportune garanzie”. Analizzata l’attuazione della direttiva 2009/22/CE relativa a provvedimenti inibitori a tutela degli interessi dei consumatori, che codifica la direttiva 98/27/CE, la Commissione ha rilevato che l’assenza di meccanismi trasparenti di ricorso collettivo ha, come conseguenza, l’utilizzo di strumenti giuridici differenti come la riunione delle cause o la cessione di pretese che possono “comportare problemi in merito all’efficace prevenzione dell’abuso del contenzioso, poiché le tutele contro l’abuso solitamente presenti nei procedimenti collettivi, ad esempio per quanto concerne la legittimazione ad agire o gli onorari calcolati in percentuale delle somme concordate nella causa (contingency fees), potrebbero non applicarsi a tali percorsi alternativi”. Permangono, inoltre, lacune nell’attuazione, con rischi di abusi e conseguenze negative per le parti in causa. Il ricorso collettivo di natura risarcitoria – scrive la Commissione – è disponibile in 19 Stati membri (Austria, Belgio, Bulgaria, Germania, Danimarca, Finlandia, Francia, Grecia, Ungheria, Italia, Lettonia, Malta, Paesi Bassi, Portogallo, Polonia, Romania, Spagna Regno Unito, Svezia). In alcuni Paesi membri, inoltre, “i provvedimenti inibitori collettivi sono disponibili in modo orizzontale (Belgio, Danimarca, Lettonia, Paesi Bassi e Svezia) o in altri settori specifici, in particolare la concorrenza (Ungheria, Lussemburgo e Spagna), l’ambiente (Francia, Ungheria, Portogallo, Slovenia e Spagna), l’occupazione (Ungheria e Spagna) o la lotta alla discriminazione (Ungheria, Francia e Spagna). Undici Stati hanno introdotto disposizioni specifiche relative a meccanismi di risoluzione stragiudiziale collettiva delle controversie (Belgio, Bulgaria, Danimarca, Francia Germania, Italia, Lettonia, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo e Regno Unito). 

Tra gli aspetti negativi, lo scarso impatto della raccomandazione sul sistema di corresponsione degli onorari degli avvocati, malgrado, per evitare che si determino “incentivi non necessari ad avviare contenziosi che non siano nell’interesse di ciascuna delle parti.”, sia previsto che “gli onorari calcolati in percentuale delle somme accordate nella causa (contingency fees), che rischiano di creare detti incentivi, dovrebbero essere vietati; qualora siano consentiti a titolo di eccezione, tali onorari dovrebbero essere opportunamente disciplinati nei casi di ricorso collettivo, tenuto conto del diritto dei membri della parte ricorrente a ricevere l’intero risarcimento”. 

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