È il mancato consenso e non la resistenza fisica ad essere centrale per la qualificazione di un atto come stupro

È l’assenza del consenso e non la resistenza fisica ad essere determinante per qualificare un fatto come stupro. Di conseguenza, se uno Stato subordina la punizione del colpevole alla dimostrazione di una resistenza fisica da parte della vittima che dice no all’atto sessuale agisce in modo contrario alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Lo ha stabilito la Corte di Strasburgo con la sentenza depositata il 12 dicembre nella causa Y. contro Repubblica Ceca (AFFAIRE Y c. RÉPUBLIQUE TCHÈQUE,ricorso n. 10145/22).

A rivolgersi a Strasburgo è stata una donna che aveva denunciato un sacerdote accusandolo di molestie sessuali e stupro. L’uomo aveva dapprima aiutato la donna, instaurando via via un rapporto di dipendenza economica e psicologica, per poi compiere atti di molestie sessuali e stupro. Le diverse denunce presentate dalla donna erano state archiviate. Gli inquirenti sostenevano che la donna non avesse espresso chiaramente la sua volontà di non avere un rapporto sessuale “e non aveva opposto una resistenza sufficientemente forte per fare capire all’aggressore la sua posizione”. Il provvedimento con il quale era stato chiuso il procedimento era stato annullato, ma le nuove azioni non avevano portato ad alcuna tutela della vittima e alla punizione del colpevole. Così, la donna si è rivolta a Strasburgo.

La Corte europea, precisato che lo stupro e le molestie sessuali rientrano sia nel perimetro dell’articolo 3 che vieta la tortura e i trattamenti inumani e degradanti, sia nell’articolo 8 che assicura il diritto al rispetto della vita privata e familiare, ha evidenziato che lo Stato non ha rispettato gli obblighi positivi, anche di carattere procedurale, imposti dalla Convenzione, così come non ha considerato la consolidata giurisprudenza della Corte che, in varie occasioni, in particolare dalla pronuncia del 4 dicembre 2003, M.C. contro Bulgaria (ricorso n. 39272/98), ha chiarito che gli Stati sono tenuti a predisporre un sistema penale in grado di punire gli autori di atti sessuali non consensuali. Inoltre, in questo caso, le autorità inquirenti, che avevano chiuso per ben tre volte il caso, non avevano considerato il rapporto di sudditanza tra la donna e il prete e la particolare situazione di vulnerabilità e di dipendenza anche economica della ricorrente.

Ma la questione più grave nel comportamento delle autorità nazionali è la circostanza che è stata richiesta la prova della resistenza fisica, non considerando il no all’atto sessuale opposto dalla donna. Di qui la condanna alla Repubblica Ceca, tenuta a versare 25mila euro per i danni morali subiti dalla ricorrente.

Si veda il post http://www.marinacastellaneta.it/blog/studio-sul-reato-di-stupro-la-maggior-parte-degli-stati-continua-a-dare-rilievo-alla-coercizione-fisica.html

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