L’atto con il quale il Governo designa i Paesi sicuri non è un atto politico, ma di carattere amministrativo e, di conseguenza, sindacabile dai giudici nazionali. Pertanto, se il provvedimento è contrario al diritto Ue, i giudici nazionali sono tenuti a disapplicarlo. Lo ha chiarito, senza possibilità di equivoci, malgrado i tentativi di strumentalizzare il contenuto della pronuncia, la Corte di Cassazione, prima sezione civile, con la sentenza n. 33398 depositata il 19 dicembre 2024 (immigrazione). L’intervento della Suprema Corte ha origine dalla decisione del Tribunale di Roma di sottoporre alla Cassazione un rinvio pregiudiziale (art. 363 bis codice di procedura civile) sulla questione dell’ambito e dell’ampiezza del sindacato del giudice sulla designazione di un Paese di origine come sicuro “per effetto del decreto del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, di concerto con i Ministri dell’interno e della giustizia, in data 7 maggio 2024 (Aggiornamento della lista dei Paesi di origine sicuri prevista dall’articolo 2-bis del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25), pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica, serie generale, n. 105 del 7 maggio 2024”. La vicenda al centro dell’intervento del Tribunale riguardava la domanda di protezione internazionale presentata da un cittadino arrivato dalla Tunisia, Paese incluso nell’elenco dei Paesi di origine sicuri. La Commissione territoriale aveva respinto la domanda di protezione internazionale proprio perché il richiedente proveniva da un Paese sicuro e non aveva indicato i motivi per ritenere che tale classificazione, almeno nei suoi confronti, non fosse corretta. Il provvedimento è stato impugnato dinanzi al Tribunale di Roma che si è rivolto alla Cassazione attivando il rinvio pregiudiziale sulla corretta qualificazione del decreto ministeriale e sul possibile contrasto con la direttiva 2013/32/UE recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale.
La Suprema Corte riconosce che tale questione “incrocia una pluralità di fonti” che coinvolgono la Costituzione e atti internazionali a tutela dei diritti fondamentali. La nozione di Paese di origine sicuro è una nozione giuridica di diritto europeo – che si propone di “deflazionare il carico di lavoro inerente alla valutazione delle domande di protezione internazionale” – recepita dall’ordinamento interno prima con un decreto interministeriale e poi con atto legislativo. Questa presunzione se utile per un esame più efficiente delle domande di protezione internazionale, non è priva di rischi sul fronte delle garanzie individuali e, quindi, l’intervento caso per caso, al di là dell’inclusione nell’elenco attraverso un atto amministrativo o legislativo, è indispensabile, come stabilito anche dalla Corte di giustizia dell’Unione europea con la sentenza del 4 ottobre 2024 (causa C-406/22). Così, precisato che l’individuazione dei Paesi di origine sicuri non è un atto politico, ma giuridico, la Suprema Corte ha concluso affermando tale principio di diritto: “Nell’ambiente normativo anteriore al decreto-legge 23 ottobre 2024, n. 158, e alla legge 9 dicembre 2024, n. 187, se è investito di un ricorso avverso una decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale di richiedente proveniente da paese designato come sicuro, il giudice ordinario, nell’ambito dell’esame completo ed ex nunc, può valutare, sulla base delle fonti istituzionali e qualificate di cui all’art. 37 della direttiva 2013/32/UE, la sussistenza dei presupposti di legittimità di tale designazione, ed eventualmente disapplicare in via incidentale, in parte qua, il decreto ministeriale recante la lista dei paesi di origine sicuri (secondo la disciplina ratione temporis), allorché la designazione operata dall’autorità governativa contrasti in modo manifesto con i criteri di qualificazione stabiliti dalla normativa europea o nazionale. Inoltre, a garanzia dell’effettività del ricorso e della tutela, il giudice conserva l’istituzionale potere cognitorio, ispirato al principio di cooperazione istruttoria, là dove il richiedente abbia adeguatamente dedotto l’insicurezza nelle circostanze specifiche in cui egli si trova. In quest’ultimo caso, pertanto, la valutazione governativa circa la natura sicura del paese di origine non è decisiva, sicché non si pone un problema di disapplicazione del decreto ministeriale”
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