Esecuzione delle sentenze CEDU: il Comitato dei Ministri chiede agli Stati un’attuazione rapida

Gli Stati non fanno abbastanza nell’esecuzione delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo e compromettono, così, non solo la corretta applicazione dei diritti convenzionali, ma anche lo Stato di diritto. È tanto emerge dal 16esimo rapporto annuale sull’esecuzione delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo presentato dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa il 6 aprile (esecuzione sentenze). Sarà pure la guerra scatenata dalla Russia a rallentare il livello di esecuzione delle sentenze in alcuni Paesi -come certamente in Russia e in Ucraina – ma resta il fatto che gli altri Stati non fanno abbastanza per garantire una rapida ed effettiva esecuzione delle pronunce della Corte europea. In ogni caso, il Comitato  individua taluni progressi nell’applicazione delle sentenze, a vantaggio degli individui, ma gli Stati devono fare di più. Lo dicono i numeri: nel 2022, 1.459 nuovi casi sono stati trasferiti dalla Corte europea al Comitato dei Ministri, l’organo competente a verificare l’attuazione delle pronunce da parte degli Stati, e sono stati chiusi 880 casi, tra i quali 200 definiti come prioritari in quanto la rimozione degli elementi che hanno causato una sentenza di condanna sono al centro di ricorsi seriali. Nel complesso, alla fine del 2022, ben 6.112 casi (tra i quali 1.299 prioritari) dovevano ancora essere attuati. Nessun dubbio che di questi casi quelli che riguardano la Russia sono destinati a non essere mai attuate (si tratta di 2.352 sentenze che hanno come destinataria la Russia, che vuol dire il 38% dei casi complessivamente ancora pendenti dinanzi al Comitato). La Russia, anche se non più Stato parte alla Convenzione e non più membro del Consiglio d’Europa dal 16 marzo 2022, è ancora obbligata all’esecuzione degli obblighi assunti prima della cessazione come membro della Convenzione ma è difficile ipotizzare che Mosca abbia intenzione di adempiere o di preoccuparsi del rispetto degli obblighi internazionali.

Per quanto riguarda l’Italia, nel 2022 sono stati chiusi 32 casi a fronte dei 73 del 2021. Il Comitato ha chiuso 109 casi con riguardo all’Ungheria (66 nel 2021),  alla Turchia 107 casi (222 nel 2021) e all’Ucraina 67 (126 nel 2021). Sul fronte del pagamento degli indennizzi, l’Italia ha versato la quota più alta pari a 5.905.876 euro (casi il doppio rispetto si 3 miliardi del 2021), seguita dalla Turchia con 5 miliardi e 600 milioni, Ungheria con poco più di 4 miliardi. Tra gli Stati non membri la Russia con 80 miliardi di euro. Sono quattro i Paesi che guidano la classifica di coloro che hanno scelto la strada del regolamento amichevole che hanno raggiunto quota 1181 a fronte dei 1.074 del 2021, per evitare le probabili condanne della Corte: si tratta di Ucraina (130), Romania (125), Serbia (76), Turchia (51), Ungheria (60), Italia (40). Russia sempre in vetta con 365 regolamenti amichevoli.

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