Forme di moderna schiavitù nel lavoro domestico: il diplomatico saudita non gode dell’immunità

Per la prima volta, la Corte suprema inglese è stata chiamata ad occuparsi dell’applicazione della regola dell’immunità degli agenti diplomatici dalla giurisdizione in un caso di sostanziale schiavitù di una lavoratrice impiegata come domestica. Con la sentenza depositata il 6 luglio 2022 ([2022] UKSC 20), la Corte suprema del Regno Unito, nel caso Basfar contro Wong, ha negato l’immunità dalla giurisdizione a un diplomatico saudita perché, malgrado l’attività della donna fosse strettamente collegata allo svolgimento dell’attività come diplomatico, nel caso di lavoro forzato e tratta di esseri umani deve essere applicata l’eccezione per le attività commerciali, con la conseguenza che il saudita non può godere dell’immunità (uksc-2020-0155-judgment).

La vicenda aveva preso il via dal ricorso presentato da una donna filippina che, dopo aver lavorato in Arabia Saudita, era stata sostanzialmente costretta a trasferirsi nel Regno Unito per lavorare come domestica nell’abitazione di un diplomatico saudita, rappresentante dell’Arabia Saudita nel Regno Unito. La donna sosteneva di essere stata vittima di un traffico di migranti e costretta a svolgere il lavoro di domestica in una situazione di schiavitù, con una segregazione in casa salvo la possibilità di uscire per buttare la spazzatura. La donna, inoltre, dichiarava di non essere stata retribuita per diverso tempo, di non aver mai avuto un giorno di riposo, di essere stata costretta a lavorare dalle 7 di mattina alle 23.30, di essere stata sottoposta a trattamenti offensivi e degradanti. Nel 2016 la donna si era rivolta al Tribunale per il lavoro (Employment Tribunal), ma il diplomatico aveva invocato la Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche del 1961 che, per l’organo di appello, era applicabile. In ogni caso, i giudici hanno deciso di deferire il caso alla Corte Suprema.

Con la sentenza del 6 luglio, la Corte riconosce che il rapporto di lavoro domestico è strettamente collegato alla vita quotidiana del diplomatico, arrivando alla conclusione che queste attività possono rientrare in un ampio quadro relativo alle immunità degli agenti diplomatici. Tuttavia, l’immunità, in linea con l’articolo 31 della Convenzione di Vienna, che prevede tra le limitate eccezioni all’immunità il caso di svolgimento di attività commerciale, e con l’articolo 42 secondo il quale il diplomatico non può esercitare nello Stato in cui è stato inviato attività a scopo di lucro personale di natura professionale o commerciale, non può essere invocata dal diplomatico. E’ vero – precisa la Corte Suprema – che l’impiego ordinario di un domestico non è un’attività commerciale perché si tratta di attività accessorie all’ordinario svolgimento della vita quotidiana dei diplomatici e delle loro famiglie nello Stato ricevente, come l’acquisito di beni e servizi per uso personale, ma certo lo sfruttamento di una lavoratrice domestica non può essere considerato come un normale rapporto di lavoro accessorio allo svolgimento dell’attività diplomatica e va esclusa, quindi, ogni immunità nel caso di servitù, lavoro forzato o tratta di essere umani. In questi casi, infatti, deve essere applicata l’eccezione di attività commerciale all’immunità. La donna si trovava in una situazione di servitù domestica e il diplomatico ha sfruttato il lavoro della domestica per due anni, traendo un profitto economico personale e, così, l’eccezione legata all’esercizio delle attività commerciali deve essere applicata. Respinta, quindi, la richiesta di immunità del diplomatico saudita. Ora il caso torna al tribunale per il lavoro che procederà all’accertamento delle responsabilità.

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