Indennità per il sangue infetto: sentenza pilota contro l’Italia

La sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo depositata oggi che condanna l’Italia a causa del mancato versamento dell’indennità integrativa speciale adeguata al tasso di inflazione ad ammalati contaminati per trasfusioni di sangue infetto ed emoderivati non è solo una condanna per una violazione della Convenzione, ma è anche il segno del declino dello stato di diritto in Italia e della mancata considerazione degli individui in quanto tali da parte del proprio Governo. Per ragioni economiche, calpestando la salute dei propri cittadini ammalatisi a causa di sangue infetto trasmesso in assenza di adeguati controlli, non solo il Governo si è rimangiato la legge che prevedeva il versamento di un’indennità costituita da una parte fissa e una complementare da adeguare al tasso di inflazione, necessaria per lo più a coprire le cure mediche, ma ha adottato un decreto legge in grado di vanificare le legittime aspettative di persone malate e ha del tutto disatteso una pronuncia della Corte costituzionale. Con la sentenza della Corte di Strasburgo, M.C. e altri contro Italia (ricorso n. 5376/11, AFFAIRE M.C. ET AUTRES c. ITALIE), finalmente i pazienti e i loro familiari, almeno in parte, ottengono giustizia. Questi i fatti. Alla Corte europea si sono rivolti 162 cittadini ammalati a causa del sangue infetto trasmesso con trasfusioni di sangue o con emoderivati. Un calvario che ha condotto a malattie come l’epatite B e C, l’HIV, la cirrosi epatica. Alcuni ricorrenti sono morti nel corso del procedimento dinanzi alla Corte e sono subentrati i familiari. I ricorrenti, in base alla legge n. 210/1992, avevano diritto ad ottenere un’indennità costituita da due parti, una fissa e una supplementare. La Corte di cassazione nel 2005 aveva ritenuto che l’indennità dovesse essere adeguata al tasso di inflazione ma, nel 2009, la stessa Suprema Corte aveva modificato orientamento disponendo la rivalutazione solo per la parte fissa. Malgrado fossero in corso diversi procedimenti, il Governo adottò il decreto legge n. 78/2010 codificando il principio. Tuttavia, la Corte costituzionale, con sentenza n. 293/2011 aveva dichiarato incostituzionale il decreto legge in quanto in contrasto con l’art. 3 della Costituzione. Questo perché in pratica venivano trattati diversamente persone malate in quanto le persone colpite dalle conseguenze delle vaccinazioni obbligatorie avevano la rivalutazione delle somme e non invece quelle contaminate dal sangue infetto. Naturalmente, dopo la sentenza della Corte costituzionale nulla era cambiato. Di qui il ricorso a Strasburgo che non solo ha dato ragione ai ricorrenti, ma ha anche adottato una sentenza pilota in ragione del problema strutturale esistente nello Stato convenuto. Per la Corte, l’Italia ha violato l’articolo 6 che riconosce l’equo processo anche intervenendo con l’adozione di una legge che di fatto andava a svantaggio dei ricorrenti mentre erano in corso processi nei quali lo Stato era parte convenuta. Violato, quindi, il principio della rule of law, con un cambiamento delle regole nel corso del processo. Non solo. La Corte ha anche accertato la violazione dell’art. 1 del Protocollo n. 1 sul diritto di proprietà perché l’Italia ha posto sulle parti un onere eccessivo e anormale, con un’ingerenza sproporzionata sui beni dei malati scegliendo di non corrispondere un adeguamento dell’indennità per la parte supplementare che rappresenta il 90% del totale delle somme dovute che, tra l’altro, servono a pagare le spese mediche. Il Governo – precisa la Corte –  pur sapendo che il costo delle cure doveva essere coperto dall’indennità dovuta dallo Stato ha tagliato gli importi. Per di più non è stato dato seguito alla sentenza della Corte costituzionale con ciò minando il principio della preminenza del diritto che è un elemento del patrimonio comune degli Stati contraenti. Accertata la violazione degli articoli 6, 1, del Protocollo n. 1 e 14, la Corte si è riservata di decidere sull’equa riparazione ma ha adottato una sentenza pilota ravvisando un problema sistematico anche per l’indisponibilità dello Stato a dare seguito alla pronuncia della Corte costituzionale. Entro sei mesi dall’assunzione del carattere definitivo della pronuncia della CEDU, quindi, d’intesa con il Comitato dei Ministri, a cui compete la vigilanza sull’esecuzione delle sentenze della CEDU, lo Stato dovrà indicare una data inderogabile entro la quale assicurare la corresponsione delle somme rivalutate non solo ai ricorrenti, ma a ogni individuo che si trovi nella stessa situazione, risolvendo in via definitiva il problema strutturale ed evitando così la corsa a Strasburgo. Resta da vedere se l’Italia farà ricorso alla Grande Camera. Sarebbe meglio, anche in ragione della circostanza che su molti punti il Governo non ha presentato osservazioni di carattere giuridico, accettare il verdetto e risolvere una situazione che è un dramma per molte famiglie.

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