La Cassazione precisa le modalità di calcolo dello spazio minimo in carcere in modo conforme a Strasburgo

La Corte di cassazione, prima sezione penale, con la sentenza n. 52819/16 (52819), depositata il 13 dicembre, dà piena applicazione alle pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo a partire dal caso Torregiani e lo fa chiarendo il corretto calcolo dello spazio da destinare ai detenuti per non incorrere in una violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo che vieta la tortura e i trattamenti inumani e degradanti. Questi i fatti. Con ordinanza del 2 ottobre 2014, il Tribunale di sorveglianza di Perugia aveva respinto il reclamo (azione inibitoria e risarcitoria) di un detenuto che contestava le condizioni carcerarie provocate dal sovraffollamento. Per il Tribunale, nel calcolo dello spazio destinato al singolo occupante andava incluso il letto che non limita lo spazio vitale, mentre andavano esclusi dal computo della superficie unicamente altre strutture fisse come manufatti e mensole e lo spazio dedicato al bagno. Il criterio di misurazione deciso dal Tribunale aveva portato a escludere un trattamento disumano e degradante perché lo spazio minimo era tra i 3 e i 4 metri quadrati. In modo singolare, tra l’altro, il Tribunale effettuava una compensazione tra acqua calda (assente) e la doccia esterna con acqua calda. Una posizione bocciata dalla Cassazione che ha escluso ogni possibilità di compensazione e ha chiarito che nello spazio minimo vanno considerate tutte le strutture fisse incluso il letto che, quindi, sottrae lo spazio a disposizione del detenuto.

Per le modalità di calcolo dello spazio minimo vitale concesso a un individuo posto in una cella collettiva, la Cassazione ha richiamato la prassi di Strasburgo. Chiara la posizione della Corte europea: al di sotto dei 3 metri quadrati si verifica in modo automatico una violazione dell’articolo 3 della Convenzione, senza possibilità di “compensazioni derivanti dalla bontà della residua offerta di servizi o di spazi esterni alla cella”. Tra l’altro, osserva la Suprema Corte, il letto deve essere considerato come “un ingombro a idoneo a restringere” lo spazio vitale minimo all’interno della cella. Ed invero, – scrive la Cassazione – considerare “superficie utile quella occupata dal letto per finalità di riposo o di attività sedentaria che non soddisfano la primaria esigenza di movimento” non è conforme ai criteri delineati dalla Corte europea, con la conseguenza che non può rientrare nella nozione di spazio minimo individuale. Così, andavano detratti dalla superficie complessiva non solo il bagno e gli arredi ma anche lo spazio occupato dal letto. Pertanto, tenendo conto dell’interpretazione della Corte europea in base alla quale il giudice interno “ha l’obbligo di ritenere un dato integrativo del precetto”, sussiste una “forte presunzione di trattamento inumano e degradante, superabile solo attraverso l’esame congiunto e analitico delle complessive condizioni detentive e della durata di tale restrizione dello spazio minimo”. Di qui l’annullamento con rinvio per un nuovo calcolo dello spazio minimo.

Si vedano i post http://www.marinacastellaneta.it/blog/estradizione-e-sovraffollamento-carcerario-la-sentenza-torreggiani-guida-nella-decisione.htmlhttp://www.marinacastellaneta.it/blog/carceri-le-misure-italiane-convincono-strasburgo.html

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