Prescrizione o decadenza per le azioni di risarcimento dovute al sovraffollamento carcerario: rimessione alle Sezioni Unite

La parola alle Sezioni Unite per l’inquadramento del rimedio pecuniario in caso di detenzione in condizioni inumane provocate dal sovraffollamento. Con ordinanza interlocutoria n. 22764 del 28 settembre (22764), la terza sezione civile ha rinviato alle Sezioni Unite la delicata questione relativa al corretto inquadramento dei rimedi introdotti nell’ordinamento italiano per assicurare alle vittime un ristoro dei danni subiti per la detenzione in situazioni di sovraffollamento, dopo la sentenza Torreggiani adottata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo l’8 gennaio 2013 che era costata all’Italia una condanna per violazione dell’articolo 3 (divieto di trattamenti inumani e degradanti). Il ricorso straordinario per Cassazione è stato presentato dal Ministero della giustizia che non ha condiviso la conclusione del Tribunale di L’Aquila che aveva accolto la richiesta di un detenuto il quale era stato recluso in condizioni inumane per 3.189 giorni. Il Tribunale aveva condannato il Ministero della giustizia a versare 25.512 euro al ricorrente (3.189 giorni per 8 euro al giorno). La Cassazione, analizzate le possibili alternative inclusa la possibilità di considerare che nell’applicazione dell’articolo 35 ter, legge n. 117 del 2014, introdotto nell’ordinamento penitenziario (legge n. 354/1974) a seguito della sentenza CEDU, vada tenuto conto della natura risarcitoria del rimedio, riconducibile all’articolo 2043 del codice civile e, per la prescrizione, all’articolo 2947 c.c., ha ritenuto necessario chiamare in aiuto le Sezioni Unite per chiarire se il rimedio costituisca un’indennità o un risarcimento. Nell’ordinanza in esame, la Suprema Corte ha specificato che con l’indicata nuova norma è stato introdotto, per la prima volta nel diritto interno, il riconoscimento di un diritto prima non esistente ossia il risarcimento danni da detenzione in situazione di degrado ritenendo che l’articolo 35 vada classificato come norma che introduce un diritto nuovo, con effetti retroattivi per i soggetti non più detenuti. Tuttavia, la Cassazione ha evidenziato i problemi interpretativi circa la classificazione del fatto illecito compiuto prima dell’entrata in vigore delle nuove norme e l’individuazione del momento in cui scatta il calcolo del tempo ai fini della prescrizione o della decadenza, con inevitabili conseguenze sul bilancio dello Stato. Non solo. Nel caso in esame è venuta in rilievo anche la legge n. 89 del 2001, accomunata dal d.l. n. 92 del 2014, convertito dalla legge n. 117 del 2014, dal fatto che si tratta di rimedi necessari a conformarsi alle sentenze CEDU, con la possibilità di applicare la giurisprudenza sviluppatasi in quell’ambito. Di qui la necessità di un intervento delle Sezioni Unite.

Si veda il post http://www.marinacastellaneta.it/blog/detenzione-in-contrasto-con-la-cedu-studio-sui-nuovi-rimedi-risarcitori.html 

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