Le leggi elettorali non vanno cambiate a ridosso delle elezioni. Per garantire l’effettiva attuazione della democrazia e dello Stato di diritto, gli Stati democratici non devono intervenire a modificare le regole sull’eleggibilità, inclusa la questione della presentazione dei candidati, nell’anno precedente alle elezioni. Lo scrive la Commissione europea per la democrazia attraverso il diritto, nota come Commissione Venezia del Consiglio d’Europa, nel parere presentato il 9 dicembre (CDL-AD(2024)037, opinion n. 1205/2024, Legge elettorale) e richiesto dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nel procedimento Staderini (ex segretario del partito radicale) e altri contro Italia (ricorso n. 6235/23, comunicato all’Italia il 19 febbraio 2024 STADERINI ET AUTRES c. ITALIE). L’intervento come amicus curiae, che non entra nel merito del ricorso o sulle questioni relative alla compatibilità del sistema elettorale italiano con la Convenzione europea, ma è incentrata su un’analisi e su una valutazione di diritto costituzionale comparato, ha al centro la stabilità della legislazione elettorale e alcune caratteristiche del sistema elettorale misto. Il ricorso alla Corte europea è stato presentato da esponenti politici italiani secondo i quali la legge n. 165/2017, nota come Rosatellum e, in particolare, le modifiche introdotte prima delle elezioni del 25 settembre 2022 attraverso la legge costituzionale n. 1 del 19 ottobre 2019, la legge n. 84 del 30 giugno 2022 e la legge n. 177 del 23 dicembre 2020, non assicurano il diritto alle libere elezioni tutelato dall’articolo 3 del Protocollo n. 1 alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Inoltre, ad avviso dei ricorrenti si configurerebbe anche una violazione dell’articolo 13 della Convenzione che tutela il diritto a un rimedio giurisdizionale effettivo.
La Commissione Venezia, richiesta dell’intervento, analizzato il quadro normativo, anche alla luce del Codice di buone pratiche in materia elettorale adottato nel 2002, condivide i dubbi del ricorrente ritenendo che le continue modifiche alla legge elettorale non permettono, soprattutto se intervenute a ridosso delle elezioni, lo svolgimento di competizioni elettorali in cui gli elettori possano fornire un voto informato e consapevole. La Commissione Venezia, inoltre, è critica verso l’Italia anche nella parte in cui non prevede rimedi effettivi a favore dei cittadini che intendano difendere i propri diritti elettorali tenendo conto dell’assenza di ricorsi diretti alla Corte costituzionale. Supera, invece, il vaglio della Commissione Venezia, il divieto di votare nel sistema proporzionale per una lista diversa da quella scelta per il maggioritario, con l’attribuzione automatica del voto espresso nel maggioritario alla lista o alla coalizione del sistema proporzionale. Su un sistema analogo presente in Germania, la Commissione Venezia si era già espressa anche richiamando la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, secondo la quale, in materia elettorale, gli Stati godono di un ampio margine di apprezzamento con la conseguenza che possono liberamente scegliere un sistema proporzionale maggioritario o misto. Tuttavia, la Corte, in diverse occasioni, ha affermato che tale margine di apprezzamento non può portare, però, alla scelta di sistemi elettorali che escludano alcune persone o gruppi di persone dalla partecipazione alla vita sociale del Paese o portino a favorire determinati partiti politici o candidati dando un vantaggio elettorale a discapito di altri gruppi e partiti. Questo vuol dire – precisa a Commissione Venezia – che la libertà di scelta nei sistemi elettorali deve avvenire nel rispetto degli obblighi internazionali e delle garanzie assicurate come eguaglianza, segretezza del voto, libertà.
Adesso la parola a Strasburgo.
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