La Corte Ue interviene su residenza abituale e giurisdizione nei casi di divorzio

La Corte di giustizia dell’Unione europea, con la sentenza depositata il 10 febbraio 2022 nella causa C-522/20 (OE, C-522:20), ha chiarito la portata dell’articolo 3 del regolamento n. 2201/2003 su competenza, riconoscimento ed esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e di responsabilità genitoriale che, dal 1° agosto 2022, sarà sostituito dal n. 2019/1111. A rivolgersi a Lussemburgo è stata la Corte suprema irlandese prima di pronunciarsi su una vicenda che aveva al centro una coppia costituita da un cittadino italiano e una tedesca che si erano sposati e risiedevano in Irlanda. Il marito aveva deciso di vivere in Austria e dopo un periodo di residenza superiore a sei mesi in quel Paese aveva presentato domanda di divorzio dalla moglie dinanzi alTribunale distrettuale di Döbling, in Austria, ritenendo che i giudici austriaci fossero competenti in base alla sua residenza, che lui considerava abituale in quel Paese. Per il Tribunale austriaco, e, successivamente per la Corte di appello, invece, non sussisteva la giurisdizione dei giudici austriaci. La Corte suprema ha chiesto l’intervento di Lussemburgo per alcuni chiarimenti sul regolamento n. 2201/2003.

Per la Corte Ue, l’articolo 3 del regolamento il quale prevede che sulle questioni di divorzio possa essere adito il giudice della residenza abituale dell’attore se quest’ultimo ha la residenza abituale di sei mesi o di un anno a seconda che sia o meno cittadino di quello Stato è giustificato da elementi oggettivi che rendono prevedibile anche al convenuto l’individuazione di un giudice di uno Stato membro. Pertanto, nel prevedere un diverso arco temporale ai fini dell’individuazione della residenza abituale a seconda che si tratti di un cittadino dello Stato del giudice adito o di un individuo che abbia la cittadinanza di altro Stato membro, non si può ravvisare una violazione del principio di non discriminazione in base alla nazionalità. Per la Corte di giustizia, infatti, la scelta del legislatore Ue di distinguere la durata del periodo minimo di residenza abituale richiesto nel caso di forum actoris a seconda della cittadinanza non viola l’articolo 18 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea che vieta ogni forma di discriminazione sulla base della cittadinanza, norma che comporta che situazioni analoghe non siano trattate in maniera diversa e che situazioni diverse non siano “trattate in maniera uguale, a meno che tale trattamento non sia oggettivamente giustificato”.  Nel caso dell’articolo 3, scrive la Corte, vengono trattate in modo diverso situazioni che sono diverse proprio per la presenza di un elemento come la cittadinanza che è indice di un legame con il proprio Paese ed è corretto, pur non assumendo la cittadinanza come elemento unico per determinare la residenza abituale, che l’esistenza di pregressi legami istituzionali o giuridici, così come l’esistenza di “legami culturali, linguistici, sociali, familiari o patrimoniali” permetta di “apprezzare il collegamento tra detto coniuge e lo Stato membro interessato”. Di conseguenza, in questa situazione esiste una presunzione circa il collegamento effettivo “che deve sussistere tra l’attore e lo Stato membro i cui giudici esercitano tale competenza”.

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