La mancanza di fondi non può bloccare la legge Pinto. Disapplicato l’articolo 3 della legge 89/2001 per contrasto con la CEDU

Il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione distaccata di Brescia (sezione seconda) ha ordinato con sentenza n. 214 del 9 febbraio 2012 (http://www.giustizia-amministrativa.it/DocumentiGA/Brescia/Sezione%202/2011/201101381/Provvedimenti/201200214_01.XML, analoga alla n. 213/2012), la disapplicazione immediata dell’articolo 3, comma 7 della legge Pinto che condiziona gli indennizzi alle vittime di processi troppo lunghi alla presenza in bilancio di risorse disponibili. Un limite incompatibile con l’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo come interpretata dalla Corte di Strasburgo e che va disapplicato direttamente, senza rimessione della questione alla Corte costituzionale. Con la conseguenza che l’amministrazione è obbligata a effettuare le variazioni di bilancio necessarie a reperire i fondi sufficienti al pagamento degli indennizzi come stabilito dalla Corte europea nei casi Cocchiarella e Gaglione (sentenze del 21 dicembre 2010).

L’azione dinanzi al Tar contro il Ministero dell’economia e il ministero della giustizia era stata avviata da un cittadino vittima di un processo civile troppo lungo. Si era così rivolto alla Corte di appello competente che gli aveva dato ragione su tutta la linea condannando il Ministero della giustizia a pagare 5.600 euro. Il decreto era passato in giudicato ma la vittima non aveva ottenuto nulla. Di qui il ricorso al Tar che gli ha dato ragione, rafforzando l’incidenza delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo rispetto alla legislazione interna. Chiarito che il provvedimento giudiziario che dispone l’indennizzo può essere oggetto di un procedimento di ottemperanza dinanzi al Tar anche se non ha la forma della sentenza, i giudici amministrativi si sono soffermati sui rapporti tra Convenzione, come interpretata dalla Corte europea, e legge Pinto. La vittima del processo troppo lungo non era riuscita ad ottenere l’indennizzo che le spettava malgrado fossero decorsi 6 mesi dalla pronuncia, periodo che la Corte europea ha considerato come intervallo accettabile per liquidare gli importi ai ricorrenti. Di conseguenza – osservano i giudici amministrativi – l’articolo 3, comma 7 della legge 89/2001, che pone il vincolo delle risorse disponibili fissate in sede di bilancio per versare le somme dovute alle vittime, deve essere disapplicato. Pertanto, “l’amministrazione è obbligata a operare le necessarie variazioni di bilancio per reperire fondi sufficienti al pagamento degli indennizzi”. Non solo. Per quantificare il danno derivante dai ritardi su base equitativa, il Tar aderisce alla decisione della Corte europea nel caso Cocchiarella con la quale i giudici di Strasburgo hanno stabilito che deve essere attribuita una somma di 100 euro per ogni mese di ritardo nella liquidazione dell’indennizzo rispetto al forfait previsto nella sentenza Gaglione di soli 200 euro “indipendentemente dalla durata del ritardo”.

Si ringrazia il collega dell’Università di Bari Giuseppe Morgese per la segnalazione.

 

 

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