Le sanzioni amministrative gravi devono essere qualificate come penali. Nulla la riserva italiana sul principio ne bis in idem del Protocollo CEDU

Se la sanzione qualificata come amministrativa sul piano interno è di una severità tale da essere equiparabile a una penale non è possibile avviare un nuovo procedimento giurisdizionale penale dopo quello di natura amministrativa. Di conseguenza, se la Consob decide una sanzione pecuniaria elevata a cui si aggiunge una misura interdittiva, per manipolazione del mercato, è precluso lo svolgimento di un processo penale per gli stessi fatti nei confronti delle stesse persone. Lo ha deciso la Corte europea dei diritti dell’uomo in una sentenza depositata il 4 marzo con la quale ha condannato l’Italia per violazione del diritto a non essere giudicati due volte per lo stesso reato stabilito dall’articolo 4 del Protocollo n. 7 (ricorso Grande Stevens e altri contro Italia, AFFAIRE GRANDE STEVENS ET AUTRES c. ITALIE). La Corte ha precisato l’irrilevanza della classificazione interna della misura imponendo, così, per non incorrere in una violazione della Convenzione, l’utilizzo dei parametri di classificazione fissati con le proprie pronunce. A Strasburgo si erano rivolti due società (la Exor s.p.a. e la “Giovanni Agnelli s.a.s.”) nonché  il Presidente Gianluigi Gabetti, l’avvocato del gruppo Franzo Grande Stevens e Virgilio Marrone i quali sostenevano, tra l’altro, che nei loro confronti si era verificata,  una violazione dell’articolo 4 del Protocollo n. 7 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che assicura il diritto a non essere giudicati due volte per lo stesso reato, e dell’articolo 6 della Convenzione che garantisce il diritto all’equo processo. La vicenda era partita dall’emissione di un comunicato da parte dei vertici delle società nel quale, malgrado le richieste della Commissione nazionale per le società e la borsa (in prosieguo Consob), non era stato menzionato un progetto di rinegoziazione di un contratto di equity swap, con una conseguente alterazione del valore delle azioni in borsa. La Divisione mercati e consulenza economica (Ufficio insider trading) della Consob aveva contestato la commissione di atti di manipolazione del mercato e, dopo un’indagine, l’Ufficio sanzioni amministrative aveva disposto, rilevando che il comunicato stampa adottato conteneva una rappresentazione falsa della situazione societaria, la comminazione di sanzioni pecuniarie elevate e misure interdittive in ordine alla direzione o al controllo di società quotate in borsa per un periodo compreso tra due e sei mesi. I ricorrenti avevano presentato ricorso alla Corte di appello di Torino che, con sentenza del 23 gennaio 2008 (confermata in Cassazione), aveva ridotto le misure amministrative ma le aveva confermate nella sostanza. Intanto, in base all’articolo 187 ter del decreto legislativo del 24 febbraio 1998, n. 58 contenente il “Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52″ (modificato in diverse occasioni), era stata avviata l’azione penale con rinvio a giudizio dei ricorrenti. La Corte di appello di Torino aveva condannato Gabetti e Grande Stevens e assolto le due società e l’altro ricorrente. Era seguito il procedimento in Cassazione che nelle more del processo a Strasburgo si è chiuso per l’applicazione delle regole in materia di prescrizione dei reati.

La Corte europea, prima di tutto, ha analizzato la questione della riserva posta dall’Italia all’art. 4 del Protocollo n. 7 sostenendo che detta norma si applica unicamente alle infrazioni, alle procedure e alle decisioni che siano qualificate come penali dalla legge italiana. Proprio la riserva apposta è stata invocata dall’Italia per fermare in partenza il procedimento dinanzi alla Corte: in pratica, il Governo ha sostenuto che, poiché le infrazioni sanzionate dalla Consob non sono qualificate come penali, il principio in esame non poteva trovare applicazione proprio per via della riserva. Un’obiezione subito bloccata dalla Corte europea che, analizzando la riserva, ne ha sancito l’invalidità in quanto vaga. La genericità della riserva, secondo la Corte, non permette di determinare con precisione le categorie coinvolte, prestandosi per di più a diverse interpretazioni e compromettendo così la certezza del diritto. Di conseguenza, non rispettando con precisione, almeno in parte, i requisiti predisposti dall’articolo 57 della Convenzione, la riserva, in quanto generale a causa del mancato richiamo alle norme interne rilevanti, è invalida e, così, l’articolo 4 del Protocollo n. 7 risulta del tutto applicabile all’Italia, senza le limitazioni volute dal Governo.

La Corte europea ha poi affrontato il problema della qualificazione delle sanzioni che deve avvenire in base ai parametri di Strasburgo e quindi alla luce di tre criteri che hanno carattere alternativo e non cumulativo: la qualificazione giuridica della misura sul piano interno, la natura della misura e il grado di severità della sanzione. Nel caso in esame, la sanzione Consob aveva una severtà tale da poter essere qualificata come penale. Pertanto, poiché la Consob ha disposto una sanzione pecuniaria elevata e una misura interdittiva, equiparabili a una sanzione penale, è precluso lo svolgimento di un processo penale per gli stessi fatti nei confronti delle stesse persone. Di qui la violazione del principio del ne bis in idem garantito dall’articolo 4 del Protocollo n. 7.

Dubbi anche sull’equità del procedimento Consob perché  manca una netta separazione tra attività dell’organo inquirente e di quello giudicante che si trovano sotto la supervisione dello stesso presidente. E’ vero che tali lacune sono “sanate” dalla possibilità di ricorrere a un organo giurisdizionale di appello, ma anche il procedimento dinanzi ai giudici di secondo grado presenta talune criticità. Ed invero, per quanto non ci siano dubbi che si tratti di un organo giurisdizionale indipendente, la previsione dell’obbligo di procedere in camera di consiglio non garantisce in modo adeguato i diritti della difesa poiché non assicura un confronto tra accusa e difesa e di conseguenza l’equità del procedimento.

si veda EstrazionePdf

 

4 Risposte

Aggiungi un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *