L’Italia condannata per gli atti di tortura alla caserma Diaz. Per Strasburgo la legislazione italiana è inadeguata.

L’Italia non ha una legge adeguata per punire i casi di tortura e non è in grado di rispettare gli obblighi sostanziali e procedurali che derivano dall’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo in base al quale nessuno può essere sottoposto a tortura o a trattamenti inumani e degradanti. E’ il verdetto che arriva dalla Corte di Strasburgo in una sentenza di condanna all’Italia  pronunciata il 7 aprile nel caso Cestaro (ricorso n. 6884/11, AFFAIRE CESTARO c. ITALIE), con la quale il Governo è stato condannato per tortura, nonché al pagamento di un indennizzo pari a 45mila euro per i danni morali subiti dal ricorrente. Tra l’altro, la Corte, evidenziando l’esistenza di un problema di carattere strutturale dell’ordinamento italiano, ha imposto l’adozione di una legge che punisca in modo effettivo i reati di tortura. Nel mirino della Corte i fatti risalenti al G8 di Genova. A rivolgersi a Strasburgo, questa volta, è stato un cittadino italiano (di 62 anni all’epoca dei fatti) che, a seguito dell’incursione della polizia, durante la notte tra il 21 e il 22 luglio 2001, nella caserma Diaz di Genova nella quale dormivano i manifestanti, aveva subito fratture multiple, con gravi conseguenze fisiche. Sul piano nazionale, dopo l’inchiesta della Procura, il Tribunale di Genova aveva deciso la condanna di 12 persone tra agenti di polizia e funzionari e indennizzi alle vittime. Il ricorrente aveva ottenuto 35mila euro. Tuttavia, alcuni condannati avevano usufruito dell’indulto. Non solo. Durante il procedimento di appello e poi in Cassazione era arrivata la prescrizione per molti imputati. Così la vittima ha deciso di rivolgersi a Strasburgo che ha accolto il ricorso. Prima di tutto, i giudici internazionali hanno respinto le eccezioni del Governo che aveva tentato di bloccare l’intervento dell’ONG “Non c’è pace senza giustizia” e dei Radicali italiani. Poi, la Corte ha rilevato che gli atti commessi dalla polizia – come scritto dalla Cassazione – avevano avuto un fine punitivo, di rappresaglia, senza che vi fosse alcun collegamento causale con la condotta delle vittime. Pertanto, l’operazione dell’unità antisommossa della polizia non è stata conforme alle esigenze di protezione dei valori che derivano dall’articolo 3 della Convenzione così come da altri atti internazionali. Accertata la sussistenza degli elementi idonei a configurare la tortura inclusa l’esistenza di una volontà deliberata desumibile anche dai tentativi di nascondere gli avvenimenti, la Corte ha accertato la violazione dell’articolo 3 in relazione agli obblighi sostanziali. Ma non si è fermata qui, ritenendo violati anche gli obblighi procedurali. A tal proposito, la Corte ha espresso il proprio rammarico per il fatto che alcuni membri della polizia abbiano potuto rifiutarsi impunemente di fornire alle autorità competenti la cooperazione necessaria all’identificazione degli agenti suscettibili di essere coinvolti negli atti di tortura. La Corte ha anche respinto la tesi del Governo secondo il quale i maltrattamenti dovevano essere relativizzati tenendo conto del contesto! Nessuna giustificazione nei casi di tortura, precisa la Corte, la quale ricorda che la tortura è proibita in ogni caso, in modo assoluto, ad esempio anche nei casi di lotta al terrorismo. Ma c’è di più perché la Corte ha accertato l’esistenza di un problema strutturale da parte dell’Italia ritenendo la legislazione penale interna inadeguata a sanzionare gli atti di tortura, non tenendo in alcuna considerazione i tentativi di difesa del Governo il quale, per evidenziare il rispetto della Convenzione, si è trincerato dietro l’esistenza di numerose proposte di legge per l’adozione del reato di tortura. A ciò si aggiunga – osserva la Corte – che la prescrizione e l’indulto possono impedire, in pratica, ogni punizione “non solo dei responsabili degli atti di tortura ma anche degli autori di trattamenti disumani e degradanti”, malgrado tutti gli sforzi delle autorità inquirenti e giudicanti. La reazione dello Stato non è stata adeguata anche tenendo conto della gravità del fatto. Di qui la violazione degli obblighi procedurali di cui all’articolo 3. Una responsabilità – scrive la Corte  – non dovuta alle autorità inquirenti o ai giudici ma alla legislazione italiana che non consente di sanzionare gli atti di tortura ed è priva di effetti dissuasivi per prevenire efficacemente la reiterazione di simili reati. Tenendo conto dell’obbligo positivo gravante sugli Stati in base all’articolo 3 della Convenzione, l’Italia deve adottare un quadro giuridico adeguato. Fermo restando che spetta agli Stati l’individuazione delle misure per rispettare gli obblighi convenzionali, la Corte ha cura di precisare che l’Italia deve “munirsi degli strumenti giuridici atti a sanzionare in modo adeguato i responsabili degli atti di tortura o di altri maltrattamenti rientranti nell’articolo 3 e a impedire che gli autori possano beneficiare di misure in contrasto con la giurisprudenza della Corte”.

C’è da sperare che, invece di tentare il ricorso alla Grande Camera, l’Italia proceda immediatamente seppure tardivamente all’adozione della legge.

Si vedano i post http://www.marinacastellaneta.it/blog/litalia-presenta-allonu-il-rapporto-sullo-stato-dei-diritti-umani.html e  http://www.marinacastellaneta.it/blog/litalia-assolta-per-la-morte-di-giuliani.html.

 

1 Risposta
  • Giuseppe J. Paccione
    aprile 14, 2015

    Ottimo pezzo, stimatissima Professoressa. Le chiedo solo se il dipartimento di giurisprudenza dell’Università A. Moro di Bari sia intenzionata ad organizzare una conferenza sul tema della tortura riconosciuta da gran parte degli Stati, ma non ancora nota nel nostro Paese.
    Grazie e buon lavoro!

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