Misure anticovid: sì alla tutela della salute pubblica ma con un controllo giurisdizionale

Le misure anti-Covid che proibiscono riunioni e manifestazioni publiche per lunghi periodi sono in contrasto con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo se non è previsto un controllo giurisdizionale interno. In situazioni drammatiche come quelle che hanno visto la popolazione colpita dal flagello della pandemia è possibile adottare provvedimenti, anche derogando alle regole previste sul piano interno, ma deve essere sempre assicurato un controllo giurisdizionale. Lo ha stabilito la Corte europea dei diritti dell’uomo, con una sentenza divisiva il cui verdetto, depositato il 15 marzo e relativo al caso Communauté Genevoise d’action syndacale (CGAS) contro Svizzera (ricorso n. 21881/20), è stato raggiunto con 4 giudici a favore e 3 contrari (ECHR). A rivolgersi alla Corte europea è stata un’organizzazione sindacale di Ginevra che non aveva potuto organizzare una manifestazione pubblica, il 1° maggio 2020, a causa delle misure adottate dal Governo svizzero il 13 marzo 2020. In caso di violazione del divieto, era prevista una pena detentiva o una multa. L’associazione aveva presentato direttamente ricorso alla Corte europea (che si è anche occupata dell’attribuzione della qualità di vittima all’organizzazione) sostenendo che non vi erano ricorsi interni effettivi per ottenere il rispetto del diritto di riunione assicurato dall’articolo 1 della Convenzione europea, tesi condivisa, per le specifiche circostanze del caso, da Strasburgo.

Nel merito, in primo luogo, la Corte ha chiarito che le misure disposte dal Governo costituivano un’ingerenza nel diritto alla libertà di riunione, ma erano giustificate da ragioni di salute pubblica, in linea con l’articolo 11 della Convenzione che ammette talune restrizioni necessarie in una società democratica anche per esigenze legate alla protezione della salute. I rischi per la salute dovuti alla pandemia sono stati molto seri e aggravati dalle poche conoscenze scientifiche sul virus al momento dell’inizio della pandemia, con la conseguenza che gli Stati hanno dovuto adottare misure in tempi molto rapidi. In Svizzera, era stato emanato un provvedimento che fissava un generale divieto senza però la possibilità di contestare in sede giurisdizionale la scelta delle autorità svizzere. E’ proprio questo il punto che non convince la Corte: una misura radicale, che fissa un divieto di riunione e di manifestazione generale richiede non solo forti ragioni per giustificarla, ma anche un controllo giurisdizionale. Questo non è avvenuto in Svizzera e, quindi, è stato omesso un passaggio decisivo che permette di bilanciare gli interessi in gioco e valutare la proporzionalità delle misure, eventualmente verificando se non sia possibile prevedere provvedimenti che permettano di raggiungere lo stesso risultato, con minori effetti negativi su un diritto convenzionale. La Corte non è convinta, poi, dalla mancanza di giustificazioni da parte della Svizzera che non ha chiarito perché alcune attività erano state consentite, con l’adozione di talune precauzioni, mentre altre, per di più all’aperto, erano state del tutto vietate. L’aspetto, però, che risulta manifestamente incompatible con la Convenzione è l’assenza di controllo giurisdizionale. La Corte ha precisato che il Governo aveva necessità di dare una risposta immediata perché si era in presenza di un flagello mondiale e, quindi, nell’adozione dei provvedimenti, non poteva essere assicurato un ampio dibattito, coinvolgendo il Parlamento, ma doveva essere garantito un controllo giurisdizionale. A non convincere la Corte, non sono, quindi, le misure in sé o le modalità di adozione, ma l’assenza di un controllo giurisdizionale, che avrebbe assicurato agli interessati  la possibilità di impugnare l’atto del Governo. Troppo severe poi le pene che arrivavano fino a 3 anni di detenzione. La Svizzera, inoltre, – ricorda la Corte – non si è avvalsa dell’articolo 15 della Convenzione  che consente allo Stato di adottare talune misure in deroga agli obblighi convenzionali in caso di guerra o di altro pericolo pubblico che minacci la vita della nazione, con la conseguenza che il Paese elvetico era tenuto al rispetto della Convenzione. Pertanto, pur tenendo conto delle esigenze dovute alla salute pubblica, la Corte ritiene che sia stato violato l’articolo 11 della Convenzione a causa della durata del provvedimento, della severità delle sanzioni previste e dell’assenza di un controllo giurisdizionale. Tre giudici hanno votato contro questa conclusione.

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