No all’espulsione, malgrado la pericolosità sociale, se c’è il rischio di trattamenti inumani

Il rischio di pena di morte o di trattamenti inumani nel Paese di origine bloccano l’espulsione. E questo a prescindere dalla gravità del reato e dalla pericolosità sociale. Lo ha chiarito la Corte di cassazione, prima sezione penale, con la sentenza n. 49242 depositata il 26 ottobre (49242), con la quale la Suprema Corte ha dato rilievo primario al diritto internazionale e al diritto dell’Unione europea e chiarito che in base alle fonti sovranazionali non si può procedere all’espulsione nel caso di rischio di trattamenti inumani e degradanti pur in presenza di un accertamento della pericolosità della persona. La vicenda riguardava un cittadino nigeriano condannato a 6 anni di carcere per reati legati agli stupefacenti. Era stata disposta la sua espulsione ma l’uomo si era opposto. Tuttavia, il Tribunale di sorveglianza di Venezia aveva respinto la richiesta di revoca del provvedimento di espulsione. Di qui il ricorso alla Suprema Corte che ha dato ragione al ricorrente. In diverse occasioni – scrive la Cassazione – la Corte europea dei diritti dell’uomo ha precisato che l’esecuzione dei provvedimenti di espulsione non può avere luogo verso Paesi in cui vi è il rischio di trattamenti inumani o degradanti. Sia l’articolo 3 della Convenzione europea sia l’articolo 19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea individuano con chiarezza un simile limite e, quindi, il giudice interno deve dichiarare “ineseguibile l’espulsione e applicare misure di sicurezza diverse”. Pertanto, l’articolo 20 del Dlgs n. 251/2007 con il quale è stata attuata la direttiva 2004/83/CE recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di Paesi terzi o apolidi, della qualifica del rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta, che sembra ammettere la legittimità del respingimento per motivi di sicurezza anche nei casi in cui vi sia il “serio rischio” che le persone destinatarie del provvedimento siano sottoposte a trattamenti inumani o degradanti deve essere disapplicato. 

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