L’espulsione di un cittadino straniero radicato sul territorio, che ha legami sociali con la comunità, è contraria all’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo che garantisce il diritto al rispetto della vita privata e familiare. Pertanto, scrive la Corte di Cassazione, prima sezione penale, con la sentenza n. 43082 depositata il 26 novembre (43082), il giudice nazionale deve sempre verificare se, malgrado la legge interna preveda l’espulsione e non richieda la valutazione delle ragioni familiari in caso di espulsione, quest’ultima possa costituire una violazione dell’articolo 8 della Convenzione di Strasburgo che si applica in quanto norma sovraordinata, a prescindere dalle norme interne.
La Corte di Cassazione, in relazione all’impugnazione di un cittadino tunisino destinatario di una misura di espulsione come alternativa alla detenzione, ha chiarito che è necessario procedere a un esame comparativo della condizione dell’interessato, valutando anche la capacità di delinquere, “in una prospettiva di bilanciamento tra l’interesse generale alla sicurezza sociale e l’interesse del singolo alla protezione della sua sfera domestica, pur nel caso in cui gli altri componenti del nucleo non siano cittadini italiani”. Pertanto, anche nei casi di espulsione come sanzione alternativa alla detenzione, il giudice di sorveglianza non può limitarsi alla verifica delle condizioni impeditive ai sensi dell’articolo 19 del Decreto legislativo n. 286 del 1998, ma deve effettuare un contemperamento “tra le esigenze poste a fondamento del provvedimento e quelle di salvaguardia delle relazioni private e familiari dell’interessato”. Con il decreto Cutro introdotto con il decreto legge 10 marzo 2023 n. 20, convertito dalla legge 5 maggio 2023 n. 50, la disciplina che garantiva la valutazione degli elementi volti a stabilire l’inserimento del richiedente, disciplina introdotta con le norme del 2020 che hanno modificato l’articolo 19 del testo unico sull’immigrazione, è stata modificata nel senso di non richiedere più tra i divieti di espulsione la valutazione del rispetto della vita privata e familiare, in ragione di una “complessiva rivisitazione della disciplina della protezione speciale”. Malgrado tale intervento legislativo, però, è necessario dare attuazione alla Convenzione europea proprio perché, tenendo conto dell’obbligo di applicare l’ordinamento sovraordinato, il giudice è tenuto ad applicare gli obblighi derivanti dall’articolo 8 della Convenzione europea, anche in considerazione del fatto che le norme convenzionali sono un parametro interposto ai fini dello stesso sindacato di conformità alla Costituzione. Di conseguenza, malgrado con il decreto Cutro siano stati abrogati i criteri esplicitati nelle precedenti fonti normative interne quali la durata della presenza dello straniero sul territorio nazionale, l’effettività dei vincoli familiari, l’inserimento sociale, l’esistenza di legami familiari, culturali, o sociali con il Paese di origine, questi elementi trovano sostanziale applicazione grazie all’articolo 8 della Convenzione europea. Questa norma – osserva la Cassazione – non prevede un diritto assoluto di non espulsione, ma la Corte europea ha precisato che “esistono circostanze in cui l’espulsione medesima si dimostra non necessaria in una società democratica e non proporzionata al legittimo obiettivo perseguito, comportando così la violazione della Convenzione”. Tra i parametri da considerare, vi è la natura e la gravità del reato commesso dal richiedente, la durata del soggiorno del richiedente nel Paese dal quale deve essere espulso, la situazione familiare del richiedente, la gravità delle difficoltà che il richiedente potrebbe incontrare nel Paese verso cui deve essere espulso. In forza delle regole internazionali, quindi, la Cassazione ha affermato il principio di diritto in base al quale “l’espulsione dello straniero a titolo di sanzione alternativa alla detenzione, prevista dall’art. 16, comma 5, d.lgs 286/98, non può essere disposta, al pari di ogni altra forma di espulsione di natura penale, qualora tale misura si risolva in un’ingerenza nella vita privata e familiare dell’interessato, vietata dall’art. 8 della Convenzione EDU, come interpretato dalla Corte di Strasburgo alla luce dei criteri sopra richiamati”. La Cassazione ha così annullato l’ordinanza, con rinvio al Tribunale di sorveglianza di Catania.
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