Gli spostamenti dei dipendenti dal proprio domicilio a quello del cliente, che servono per l’esecuzione di prestazioni tecniche dei lavoratori, rientrano nella nozione di “orario di lavoro”. E’ il principio fissato nella sentenza depositata il 10 settembre (causa C-266/14, C-266:14) dalla Corte di giustizia dell’Unione europea chiamata a interpretare la direttiva 2003/88 su taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, recepita in Italia con Dlgs n. 66/2003, modificato dal n. 213/2004. Il rinvio pregiudiziale è stato presentato dai giudici spagnoli alle prese con una controversia tra alcuni lavoratori, che si occupavano dell’installazione e della manutenzione dei sistemi di sicurezza e il datore di lavoro. I dipendenti chiedevano di conteggiare nell’orario lavorativo anche lo spostamento dal proprio domicilio a quello del primo e dell’ultimo cliente. Dopo la chiusura delle sedi regionali, infatti, i lavoratori erano tenuti a spostarsi dalla propria abitazione al luogo di installazione con un veicolo di servizio, una volta ricevuta dalla sede centrale, sul cellulare aziendale, la tabella di viaggio. Lo spostamento domicilio – primo e ultimo cliente era considerato dalla società come periodo di riposo. Di qui la controversia e il rinvio pregiudiziale a Lussemburgo, che ha fornito un’interpretazione a tutela del lavoratore. Prima di tutto, gli eurogiudici hanno chiarito che le nozioni di “orario di lavoro” e “periodo di riposo” non dipendono dagli ordinamenti nazionali, ma dal diritto dell’Unione. Solo grazie all’individuazione di una nozione autonoma è possibile, infatti, assicurare piena efficacia alla direttiva e l’applicazione uniforme in tutti gli Stati membri. Tra gli elementi costitutivi della nozione di “orario di lavoro” è incluso l’esercizio delle attività e delle funzioni lavorative. Lo spostamento verso la sede del cliente presso il quale vanno installati i sistemi di sicurezza è parte integrale della funzione del lavoratore. D’altra parte – osserva la Corte – prima della chiusura degli uffici regionali, l’azienda conteggiava lo spostamento tra sede e domicilio del cliente nell’orario di lavoro. Il semplice fatto che il dipendente parta dalla propria abitazione, a causa del fatto che non ha un luogo di lavoro fisso o abituale, non altera la circostanza che lo spostamento sia considerato come esercizio delle attività e delle funzioni lavorative. Inoltre, il lavoratore è a disposizione del datore di lavoro e raggiunge un cliente su sua indicazione “per poter immediatamente fornire le opportune prestazioni in caso di bisogno”. Durante lo spostamento, poi, il lavoratore non può gestire il tempo in modo libero, ma è obbligato “giuridicamente ad eseguire le istruzioni del proprio datore di lavoro e ad esercitare la propria attività per il medesimo”. Il ristretto margine di autonomia concesso al lavoratore non sposta la conclusione della Corte di giustizia tanto più che il datore di lavoro può cambiare l’ordine dei clienti e modificare gli appuntamenti. Irrilevante il rischio di abusi che non può essere arginato modificando la qualificazione giuridica della nozione di orario di lavoro. Spetta all’azienda, infatti, effettuare controlli per evitare abusi anche limitando il pagamento del carburante solo a quello necessario per un uso professionale. Nessuna possibilità, quindi, per l’azienda di ridurre il tempo di riposo includendo in questa fase lo spostamento domicilio-cliente funzionale all’esecuzione dell’attività lavorativa del dipendente.
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