Diritto all’equa riparazione con pochi limiti.

L’infondatezza dell’azione del ricorrente non esclude il suo diritto all’indennizzo per la durata eccessiva del processo. Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, I sezione civile, n. 18808/11, depositata il 14 settembre 2011 (11). La Suprema Corte ha accolto il ricorso di un individuo che si era visto rigettare la domanda di equa riparazione per l’irragionevole durata del procedimento svoltosi dinanzi al Tar del Lazio perché la sua domanda non era stata accolta nel merito. Di qui il ricorso in Cassazione che ha dato ragione al ricorrente ritenendo che il giudizio durato sette anni e quattro mesi era stato eccessivamente lungo rispetto alla durata equa che avrebbe dovuto essere di 4 anni e 4 mesi. Inevitabile, quindi, la condanna dell’amministrazione al pagamento di 3.250 euro. La Corte ha poi colto l’occasione per precisare che l’articolo 54 del d.l. n. 133 del 2008, convertito con legge n. 133 del 2008, non si applica agli atti processuali precedenti alla sua entrata in vigore non avendo una portata retroattiva. Inoltre, la presenza di strumenti sollecitatori “non sospende né differisce il dovere dello Stato di pronunciarsi sulla domanda… né implica il trasferimento sul ricorrente della responsabilità per il superamento del termine ragionevole per la definizione del giudizio”. D’altra parte, precisa la Corte, il comportamento del ricorrente deve essere valutato solo ai fini della quantificazione dell’entità dell’indennizzo.

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