Il ne bis in idem internazionale non è un principio generale di diritto

La Corte di cassazione, prima sezione penale, con sentenza n. 2966/14 depositata l’8 luglio è intervenuta sull’applicazione del ne bis in idem internazionale in caso di cittadini stranieri condannati all’estero per un reato commesso un Italia (29664:14). E lo ha fatto accogliendo il ricorso del Procuratore generale della Corte di appello di Trieste che si opponeva alla decisione della Corte di Assise di Trieste che aveva dichiarato il non luogo a procedere nei confronti di un cittadino montenegrino condannato dal Tribunale di Podgorica. Ad avviso dei giudici di merito, poiché il condannato era stato già processato in patria non era possibile procedere in Italia in virtù del ne bis in idem internazionale. Una tesi non condivisa dalla Cassazione. La Suprema Corte riconosce che l’indicato principio si sta affermando sul piano internazionale tanto da poter essere qualificato “come principio tendenziale cui aspira l’ordinamento internazionale”, ma ha escluso che, al di là della sua applicazione pattizia, come nel caso della Convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen, il principio possa essere applicato in via generale non avendo natura consuetudinaria. Di conseguenza, non trattandosi di un principio generale di diritto come tale riconducibile alle norme di diritto internazionale generale non può essere immesso nell’ordinamento italiano tramite l’articolo 10 della Costituzione. Pertanto, il principio ne bis in idem sul piano internazionale ha natura limitata e non può estendersi ai rapporti con Stati non parti a specifici trattati come la Convenzione Schengen. Di qui la decisione di annullare la pronuncia della Corte di Trieste e il via libera al procedimento in Italia.

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