Immunità ed esecuzione sui beni: interviene la Corte di appello Usa

La Corte di appello per il Distretto della Columbia, con la sentenza depositata il 9 maggio è intervenuta sulla possibilità dei familiari di vittime di atti terroristici all’estero di agire contro beni iraniani oggetto di confisca  da parte del Governo degli Stati Uniti, per questioni non connesse con la vicenda principale (22-5080-1998481). Si tratta del caso Steven M. Greenbaum contro Repubblica islamica dell’Iran (n. 22-5080) che aveva al centro il mandato ottenuto dagli Stati Uniti per sequestrare un carico di petrolio appartenente all’Iran, che si trovava su una nave al di fuori delle acque statunitensi. Il proprietario della nave aveva acconsentito ad entrare nei porti Usa ed era stata disposta la confisca del carico e la vendita immediata dei beni. L’incasso era stato depositato su un conto vincolato del Governo Usa. Successivamente, in esecuzione di una sentenza pronunciata prima della confisca, i familiari di una vittima del terrorismo avevano cercato di intaccare quei beni. Il Governo Usa si era opposto al pignoramento dei beni e il Tribunale distrettuale aveva accolto l’eccezione anche alla luce dell’immunità sovrana dei beni e aveva provveduto all’annullamento del pignoramento ottenuto dai familiari della vittima di terrorismo. La Corte di appello ha confermato questa conclusione precisando che l’immunità sovrana impedisce il pignoramento dei proventi petroliferi su un conto bancario degli Stati Uniti e che il Terrorism Risk Insurance Act del 2002 (noto come TRIA) non prevede una rinuncia all’immunità, pur non menzionando in modo espresso gli Stati Uniti e la loro immunità sovrana federale. Inoltre, – precisa la Corte – non si può configurare neanche una rinuncia all’immunità e, in ogni caso, nell’ipotesi di leggi che contengano alcune ambiguità l’interpretazione deve essere favorevole all’immunità. Di qui la conferma al no al pignoramento dei proventi del petrolio su un conto bancario degli Stati Uniti.

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