Gli Stati possono procedere alla riduzione di incentivi senza che si possa configurare una violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che assicura il diritto di proprietà. Con decisione del 7 marzo, nel caso SOL.IN.MUS S.r.l. contro Italia (ricorso n. 6656/15, SOL.IN.MUS. S.R.L. AND OTHERS v. ITALY), la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso di alcune società proprietarie di pannelli fotovoltaici. L’Italia, con un decreto legislativo del 2003, con il quale era stata recepita la direttiva 2001/77/CE, aveva previsto misure per incentivare l’utilizzo di queste installazioni, rinviando, per la definizione dei criteri, a un decreto ministeriale, che era stato poi adottato nel 2010. In tempi molto brevi, però, era stato raggiunto l’ammontare massimo destinato a soddisfare le richieste di incentivi e, quindi, era state bloccate le tariffe ridotte, assegnate solo agli impianti entrati in funzione entro il 31 maggio 2011. Per i nuovi impianti era stato disposto un sistema di registrazione con assegnazione delle tariffe dedicate sulla base di una graduatoria fino al raggiungimento del limite massimo previsto per ciascun semestre. Le aziende ricorrenti avevano investito nella costruzione degli impianti fotovoltaici ma il cambiamento del regime delle tariffe aveva impedito di ricevere gli incentivi. Dopo numerosi ricorsi interni e un intervento della Corte di giustizia dell’Unione europea che, nel 2019, aveva stabilito che la direttiva 2009/28 non impediva agli Stati membri una riduzione o finanche un’eliminazione degli incentivi per l’energia prodotta da impianti solari fotovoltaici, le aziende si sono rivolte a Strasburgo. Per la Corte, però, le aziende non avevano una legittima aspettativa sulla possibilità di godere di una tariffa agevolata e, quindi, ad avviso della Corte, proprio mancando tale aspettativa non si può ritenere applicabile l’articolo 1 del Protocollo n. 1 sul diritto di proprietà. La Corte prende atto che già nel quadro normativo interno era stato previsto un tetto alla concessione di tariffe agevolate e che le stesse aziende avevano ottenuto un punteggio basso. Pertanto, le aziende non potevano ragionevolmente aspettarsi che sarebbero stati garantiti incentivi nell’ambito di una specifica tariffa energetica né in base al diritto nazionale, né in base al diritto Ue (come constatato anche dalla Corte di giustizia dell’Unione europea). Di conseguenza, poiché per invocare l’articolo 1 del Protocollo n. 1 e, quindi, l’esistenza di una legittima aspettativa rispetto all’esistenza di un diritto di proprietà è necessario che il ricorrente abbia un diritto rivendicabile, la Corte europea ritiene che nessuna delle società ricorrenti avesse una pretesa rispetto alla quale si potesse fondare una legittima aspettativa di ottenere, nel futuro, il godimento effettivo di un diritto di proprietà. Così, il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché non conforme all’articolo 35 della Convenzione europea.
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