Nessuna violazione del diritto Ue se la traduzione in un procedimento per l’estradizione avviene in forma orale

Il diritto di indagati e di imputati ad avere una traduzione scritta di ogni documento fondamentale per l’esercizio del diritto di difesa, riconosciuto dall’articolo 3 della direttiva 2010/64/UE del 20 ottobre 2010 sul diritto all’interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali (GUUE L 280, 26 ottobre 2010) non è un diritto incondizionato. Di conseguenza, le autorità nazionali possono anche fornire una traduzione orale o in riassunto dei documenti, senza inficiare in alcun modo il diritto alla difesa. E’ quanto ha stabilito la Corte di cassazione nella sentenza n. 10109/14, sesta sezione penale, depositata il 3 marzo 2014 (traduzione), che ha consentito alla Suprema Corte di precisare la portata della direttiva 2010/64. Al centro della pronuncia il ricorso presentato da un cittadino francese nei confronti del quale gli Stati Uniti avevano avanzato una richiesta di estradizione. Il ricorrente contestava l’ordinanza della Corte di appello di Venezia sostenendo che, in violazione del Trattato di estradizione Italia – Stati Uniti, non tutti i documenti a sostegno dell’estradizione erano stati tradotti e l’ordinanza gli era stata notificata in italiano e non anche in francese in violazione della direttiva 2010/64. Una tesi respinta dalla Suprema Corte tanto più che l’estradando aveva potuto sempre usufruire di un interprete. Non solo. La direttiva – osserva la Corte – ammette deroghe consentendo una traduzione in forma orale o per riassunto. Ciò che conta, d’altra parte, è che sia assicurato il diritto alla difesa che non è in alcun modo inficiato dal ricorso all’interpretazione orale, in linea con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo (articolo 6) e con il Patto sui diritti civili e politici (articolo 14).

Si veda il post http://www.marinacastellaneta.it/blog/traduzioni-nei-procedimenti-penali-nel-rispetto-dellequo-processo.html

 

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