Partner di coppie dello stesso sesso: sì all’adozione del figlio del convivente se il diritto è concesso a coppie eterosessuali

Il partner di una coppia dello stesso sesso ha diritto ad adottare il figlio del proprio compagno se questa possibilità è concessa, dall’ordinamento interno, alle coppie eterosessuali non sposate. E’ la conclusione raggiunta dalla Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo nella sentenza X e altri contro Austria (ricorso n. 19010/07, CASE OF X AND OTHERS v. AUSTRIA ) depositata ieri che chiarisce il margine di discrezionalità concesso agli Stati nell’adozione della legislazione interna laddove siano in gioco diritti familiari di coppie dello stesso sesso. A una donna era stato impedito, dalle autorità austriache, la possibilità di adottare il figlio della propria partner, possibilità invece concessa a coppie eterosessuali. I tribunali nazionali non avevano accolto i ricorsi della coppia che alla fine si è rivolta a Strasburgo. Chiara la posizione della Corte: gli Stati hanno un margine di discrezionalità nelle scelte dei diritti da riconoscere a coppie non sposate. Se però assicurano taluni diritti alle coppie eterosessuali, come quello all’adozione,  sono tenuti a farlo anche con riguardo a coppie dello stesso sesso. In caso contrario, certa la violazione dell’articolo 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo che sancisce il divieto di discriminazione e dell’articolo 8 che assicura il diritto al rispetto della vita privata e familiare perché coppie delle stesso che convivono in modo stabile sono titolari del diritto alla vita familiare.  La Grande Camera ha anche precisato che l’articolo 8 della Convenzione deve essere letto tenendo conto dei cambiamenti nella società: oggi, infatti, precisa la Corte, non esiste più un unico modello familiare. Questo comporta una restrizione nel margine di discrezionalità concesso agli Stati che devono dimostrare non solo che il fine perseguito nell’eventuale predisposizione di limitazioni al godimento di un diritto sia legittimo ma anche che esso sia necessario. Una dimostrazione – osserva la Corte – che grava sullo Stato sul quale, quindi, ricade l’onere della prova.

E’ vero che sul punto dell’adozione da parte di coppie dello stesso sesso non esiste uniformità tra gli Stati parti alla Convenzione europea ma se uno Stato introduce una legislazione che riconosce diritti a coppie eterosessuali deve estenderli anche alle coppie dello stesso sesso a meno che lo Stato non provi che il divieto persegua un fine legittimo e sia proporzionato al raggiungimento di quest’obiettivo. L’Austria aveva invocato il diritto di proteggere la famiglia tradizionale, ma non ha provato quale effetto negativo potrebbe derivare dal riconoscimento di diritti a coppie dello stesso sesso quando questi diritti sono concessi a quelle eterosessuali. Così come l’Austria non ha fornito alcuna prova sull’eventuale danno al bambino e sulla compromissione dell’interesse superiore del minore derivante dall’adozione da parte di coppie dello stesso sesso. Tanto più che, in base al diritto austriaco, un single anche omosessuale, può procedere all’adozione. Di conseguenza i divieti imposti dalla legislazione austriaca non sono proporzionati e comportano una violazione della Convenzione. Sette giudici hanno allegato un’opinione dissidente.

Si veda il post del 16 marzo 2012 http://www.marinacastellaneta.it/blog/nessuna-discriminazione-se-gli-stati-vietano-alle-coppie-dello-stesso-sesso-ladozione-lo-dice-la-cedu-per-la-cassazione-il-legislatore-nazionale-deve-intervenire-a-garantire-il-diritto-a-una-vita.html

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