Sul riconoscimento in Italia di una decisione di confisca resa in un altro Stato membro è intervenuta la Corte di cassazione, sesta sezione penale, che con sentenza n. 19459 depositata il 9 maggio ha colto l’occasione per evidenziare i ritardi del legislatore italiano (confisca). Il caso riguardava la pronuncia della Corte di appello di Napoli relativa alla sussistenza delle condizioni per il riconoscimento della decisione irrevocabile di confisca pronunciata dalla Corte di appello di Gand (Belgio) nei confronti di un cittadino italiano e in relazione a reati come furto, rapina e associazione a delinquere. Il riconoscimento era stato chiesto alla luce del regolamento n. 2018/1805 del Parlamento e del Consiglio relativo al riconoscimento reciproco dei provvedimenti di congelamento e di confisca, applicabile dal 19 dicembre 2020. Tuttavia, per dare attuazione effettiva al regolamento, tenendo conto che il Governo italiano non ha ancora adottato le norme di attuazione fissate dalla legge delega 4 agosto 2022 n. 127, necessarie per individuare i criteri direttivi applicabili alla procedura interna, la Corte di appello aveva agito in base al decreto legislativo n. 137/2015 con il quale è stata recepita la decisione quadro 2006/783/GAI. L’imputato aveva presentato ricorso ritenendo, tra l’altro, che era stato violato l’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo in quanto la Corte di appello si era basata su una traduzione della pronuncia belga di “scarsa qualità”. Una posizione non condivisa dalla Cassazione. Precisato che il regolamento contiene disposizioni self-executing, la Corte ha evidenziato che gli aspetti procedurali richiederebbero un intervento del legislatore che ancora non c’è stato. Di conseguenza, la Corte di appello ha applicato correttamente, per assicurare l’attuazione del principio del reciproco riconoscimento, il decreto legislativo n. 137/2015. Oltre ad essere tardivo, il ricorso in Cassazione è stato giudicato carente sulla motivazione. È vero, infatti, che la stessa Corte di appello ha affermato che la traduzione non era perfetta, ma ha stabilito che essa “consentiva di comprendere i dati rilevati ai fini del controllo demandato all’autorità giudiziaria italiana”. In ogni caso, la Cassazione richiama anche la propria giurisprudenza in relazione al mandato di arresto europeo con la quale è stato chiarito che la mancata traduzione di un atto non determina automaticamente l’illegittimità della procedura “qualora la documentazione in atti” contenga “tutti gli elementi conoscitivi necessari e sufficienti per l’adozione della decisione”. Pertanto, per la Suprema Corte, la completezza della documentazione tradotta va valutata non in astratto, ma in relazione ai motivi di rifiuto previsti dal regolamento, con particolare riguardo alla doppia incriminabilità. Corretta, quindi, la valutazione dei giudici di appello quanto al riconoscimento della decisione di confisca.
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