Primo intervento del Comitato sui diritti del fanciullo in un caso di sottrazione internazionale di minore

Sì al rispetto del principio del ritorno del minore nel Paese di residenza abituale, ma solo se ciò coincide con l’interesse superiore del minore. La Convenzione sugli aspetti civili della sottrazione internazionale del minore del 25 ottobre 1980 (ratificata anche dall’Italia con legge 15 gennaio 1994 n. 64) va applicata, ma ogni decisione deve essere adottata in linea con il principio del preminente interesse del minore. Di conseguenza, se i giudici nazionali ordinano il ritorno del minore nel Paese di residenza abituale senza tenere conto della particolare situazione di vulnerabilità del bambino si verifica una violazione della Convenzione. Lo ha chiarito il Comitato sui diritti del fanciullo, l’organo che si occupa del monitoraggio della Convenzione di New York  del 20 novembre 1989 sui diritti del fanciullo (ratificata anche dall’Italia con legge 27 maggio 1991 n. 176), istituito grazie al Protocollo che stabilisce una procedura di presentazione di comunicazioni, adottato il 19 dicembre 2011. Il Comitato ha depositato, il 16 giugno 2022, le proprie osservazioni – per la prima volta in una vicenda relativa alla sottrazione internazionale di minori – nei confronti di un caso che riguardava il Cile (CRC_C_90_D_121_2020_34047_S). Questi i fatti. La madre di un bambino di sei anni, particolarmente vulnerabile a causa dell’autismo, si era allontanata dalla Spagna dove viveva con il marito e il figlio, tornando in Cile, luogo di nascita della donna e del bambino. La famiglia, nel 2016, si era spostata in Spagna e il padre aveva autorizzato la moglie a recarsi in Cile al fine di consentire al figlio di seguire un programma di supporto per bambini autistici. Tuttavia, nel 2018 il padre aveva avviato una procedura per il ritorno del minore in Spagna. Se i giudici cileni avevano accolto le richieste della madre che si era opposta al ritorno in Spagna del bambino, ritenendo, tra l’altro, che non era stato provato che il Paese iberico era il luogo della residenza abituale del bimbo, la Corte suprema cilena aveva dato il via libera al ritorno del minore e la donna, così, nel 2020 aveva presentato un reclamo al Comitato sui diritti del fanciullo, che le ha dato ragione proprio perché la Corte Suprema non aveva valutato il profilo degli effetti del ritorno del minore alla luce dell’interesse superiore del fanciullo. Inoltre, il Comitato sottolinea che la Convenzione dell’Aja non impone in alcun modo il ritorno automatico del minore ma richiede, in base all’articolo 13, alle autorità giudiziarie dello Stato richiesto di non eseguire il provvedimento se sussiste un fondato rischio per il minore di pericoli fisici e psichici collegati al ritorno. Di conseguenza, il Comitato ritiene che la Corte Suprema cilena debba pronunciarsi nuovamente e considerare gli effetti di ogni provvedimento tenendo conto dell’interesse superiore del minore e valutando anche il periodo trascorso in Cile, che ha portato a un’integrazione del bambino in quel Paese. Il Comitato ha chiesto al Cile, inoltre, di assicurare una riparazione effettiva, che include un indennizzo adeguato per la madre del bambino e di adottare misure per impedire che si verifichino nuovamente simili violazioni.

Si veda il volume sulle buone prassi di applicazione della Convenzione dell’Aja (Guide).

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